Invictus

Regia di Clint Eastwood

con Morgan Freeman (Nelson Mandela), Matt Damon (Francois Pienaar), Tony Kgoroge (Jason Tshabalala), Patrick Mofokeng (Linga Moonsamy), Matt Stern (Hendrick Booyens), Julian Lewis Jones (Etienne Feyder).

PAESE: USA 2009
GENERE: Biografico, Drammatico
DURATA: 134′

Tratto dal libro “Ama il tuo nemico”di John Carlin: Come Nelson Mandela, una volta uscito di prigione, motivò la nazionale sudafricana tifata solo dai bianchi e la rese la bandiera dell’unità nazionale, portandola addirittura alla vittoria della finale mondiale contro i temibili neozelandesi “All Blacks”.

Dopo lo struggente Gran Torino, Clint Eastwood torna a parlare di razzismo, scegliendo questa volta di basarsi su fatti realmente accaduti e nello specifico sul personaggio positivo di Nelson Mandela. Più che un film sul razzismo, in realtà, è un film che parla di perdono, e ne parla attraverso le parole di Mandela che rifiuta di trattare i bianchi come questi trattavano i neri fino a poco tempo prima della sua elezione. Eastwood è grande nel rendere la figura di questo coraggioso uomo incredibilmente quotidiana, normale, e allo stesso tempo epica e quasi mitica. Un “autorevole” giornalista di Libero (!) è riuscito a dire che il film è ambientato in Africa ma che rappresenta una storia americana tout court: come se il riscatto attraverso lo sport fosse una prerogativa del popolo americano. In realtà, questo Invictus è un film profondamente africano non solo per la quantità di attori sudafricani, ma anche perché Eastwood riprende il folklore e la povertà senza mai cercare un cinema da cartolina, cosa spesso non riuscita a chi ha tentato l’impresa. Perde qualche colpo, sul piano dell’originalità, nelle ridondanze visive (l’accavallarsi di mani bianche e nere, bianchi che scoprono che i neri sono persone), ma bisogna ammettere che è impossibile non emozionarsi in sequenze come quella in cui la squadra trionfa, o quella in cui il bambino povero festeggia la vittoria sportiva con dei poliziotti che prima lo avrebbero arrestato. Forse non sarà successo proprio così? Può darsi, certo. Ma non c’è modo migliore per dire attraverso le immagini che il messaggio di Mandela è vivo e comincia ad essere accettato da tutti, che il perdono verso i bianchi arriva da queste piccole cose. Eastwood è bravo a non sprofondare nell’agiografia (con un personaggio come Mandela era molto, molto facile analizzarne solo i lati positivi) e infatti non nasconde i calcoli politici del presidente, che inizia ad interessarsi al Rugby esclusivamente per servirsene a scopo elettorale, né tantomeno la sua passione per le donne. Ma, in fondo, se il calcolo politico serve a unire una nazione, non è forse giusto che esso ci sia? Eastwood è come sempre un regista classico che non disdegna ellissi, salti temporali, tempi dilatati che classici non sono. A ottant’anni rinuncia forse alla sua ambiguità tematica ma non ne risente il suo talento visivo (qui specialmente nelle scene di massa), né tantomeno la capacità di costruire immagini di forte impatto emozionale. È interessante analizzare le sequenze in cui sembra che sia in pericolo la vita di Mandela (l’inizio notturno, l’aereo sullo stadio), che si dimostrano in realtà accadimenti positivi o comunque non pericolosi: che davvero Eastwood abbia iniziato a guardare il mondo con un po’ di speranza? Morgan Freeman è aderente al personaggio, Matt Damon rappresenta con passione l’interiorità del protagonista. Le sequenze della mischia finale, in campo, ricordano vagamente Ogni maledetta domenica di Stone, ma i grugniti quasi animaleschi hanno qui una simbologia differente: Eastwood ci mostra come tramite uno sport aggressivo, quasi animalesco, si possa ottenere la pace di un popolo, basandosi appunto sul contrasto “aggressività- quiete”.  Molte le sequenze da ricordare: quella del bambino coi poliziotti, già citata, quella del “miscuglio” della scorta, quella dell’arrivo in elicottero del presidente sul campo d’allenamento.

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