Session 9

(Session 9)

Regia di Brad Anderson

con Peter Mullan (Gordon), David Caruso (Phil), Stephen Gevedon (Mike), Josh Lucas (Hank), Brendan Sexton III (Jeff), Paul Guilfoyle (Bill Griggs).

PAESE: USA 2001
GENERE: Horror
DURATA: 100′

In un ex manicomio in disuso, destinato ad ospitare strutture municipali, giunge una squadra addetta allo smantellamento dell’amianto. Ne fanno parte il misterioso Gordon, spaesato dalla nascita della figlia, il rosso Phil, il loquace Hank (che ha “rubato” la fidanzata a Phil), il riflessivo e acculturato Mike e il giovane inesperto Jeff. Ben presto si accorgono che qualcosa non va all’interno dell’edifico, e dopo la scomparsa di Hank, ognuno inizia ad indagare per comporre il puzzle che porterà ad una terribile verità.

Primo film girato con la videocamera digitale Sony 24P HD (che cattura le immagini con la stessa qualità di quelle ottiche), è un fine horror psicologico originale e intelligente. L’incredibile sorpresa finale cela un non banale messaggio politico, che si scaglia contro l’alienazione tipica della società moderna. Il disfacimento dell’edificio diventa metafora di quello fisico, mentale (e, perche no, sociale) di Gordon anche grazie all’ottima capacità di dirigere gli attori di Anderson, bravo nell’imbastire una storia e un montaggio originali che contribuiscono a mettere alla prova i nervi dello spettatore, terrorizzandolo “senza mostrare”. La paura dell’ignoto diventa paura primordiale di se stessi, l’amianto diviene simbolo di un modo di vivere che non lascia vie di sfogo e porta  inesorabilmente alla morte. È interessante notare come lo stereotipo del buio sia ribaltato: le scene di violenza avvengono quasi tutte di giorno, e il creativo uso della luce rende molto più surreali e spaventosi i passi illuminati rispetto a quelli oscuri. Girato a basso costo, angoscia e spaventa senza effettacci e senza mai mostrare un vero e proprio cattivo, il che, visti gli andazzi dell’horror di oggi, non è affatto scontato. Le scenografie della brava Sophie Carlhian rendono il manicomio il sesto protagonista, con le sue labirintiche gallerie e i suoi polverosi cunicoli. Scritto dal regista con l’attore Stephen Gevedon, deve qualcosa, concettualmente, a Shining di Kubrick (1980). Troppo intelligente e pessimista per essere apprezzato dal grande pubblico.

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