Cacciatore bianco, cuore nero

(White hunter black heart)

Regia di Clint Eastwood

con Clint Eastwood (John Wilson), Jeff Fahey (Pete Verrill), George Dzunda (Paul Landers), Timothy Spall (Hodkins), Mel Martin (Miss McGregor), Charlotte Cornwell (Miss Wilding), Alun Armstrong (Ralph Lockhart).

PAESE: USA 1990
GENERE: Drammatico
DURATA: 113′

John Wilson, regista arrogante e geniale, accetta la proposta di girare un film in Africa soltanto se avrà la possibilità di uccidere un elefante. La produzione acconsente titubante, ma un tragico epilogo costringerà Wilson ad abbandonare la sua ossessione e a tornare nella realtà.

Basato sulla storia – vera – della realizzazione de La regina d’Africa (John Huston, 1951) raccolta in un libro autobiografico dello sceneggiatore Peter Viertel, è un anomalo film sul cinema che parla dell’eccentrico quanto insensato desiderio di un ambiguo uomo di spettacolo. La componente meta- cinematografica (con tanto di alter ego di K. Hepburn e H. Bogart) funziona meglio di quella “antropologica”, in cui si dovrebbe evidenziare l’ossessione di un genio che spesso rasenta la follia paranoica. Eastwood ci riesce, anche se solo parzialmente, perché ama totalmente il suo Wilson/ Huston: arrogante, antipatico, ma anche ironico e creativo. Un uomo che sbaglia tutto sapendo di farlo e per questo acquista una statura mitica, insomma uno dei personaggi tipici che piacciono molto a Eastwood. La messa in scena come sempre è di prim’ordine, e il regista è bravo ad evitare sequenze “da cartolina” sul paesaggio africano, soffermandosi sul folklore soltanto per accentuare il contesto “difficile” in cui avvengono le riprese del film nel film. Bellissimo il simbolico finale in cui, nonostante la morte della guida africana, il regista grida “azione” sottolineando una sorta di critica costruttivista al sistema hollywoodiano : The show must go on. Molti rimproverarono a Eastwood la scelta di Fahey per il ruolo di Verrill/ Viertel, ma le sue insicurezze “attoriali” rispecchiano in fondo quelle del suo personaggio. Sottovalutato e mal considerato, resta un film interessante e sincero, accorato. Come l’omaggio che Eastwood tributa al proprio Maestro.

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