Gran Torino

(Gran Torino)

Regia di Clint Eastwood

con Clint Eastwood (Walt Kowalski), Chris Carley (Padre Janovich), Bee Vang (Thao Van Lor), John Carroll Lynch (Martin il barbiere), Cory Hardrict (Duke), Brian Haley (Mitch Kowalski), Brian Howe (Steve Kowalski), Geraldine Hughes (Karen Kowalski), Nana Gbewonyo (Il Monaco), Choua Kue (Youa), Ahney Her (Sue Lor), Chee Thao (la Nonna).

PAESE: USA 2008
GENERE: Drammatico
DURATA: 116′

Reduce della guerra di Corea, razzista, burbero, arrogante, Walt Kowalski si ritrova vedovo e, per propria scelta, solo. Senza mai guidarla cura maniacalmente una Gran Torino del 1972, prodotta dalle sue stesse mani di rude operaio della Ford. L’inaspettata amicizia con un giovane vicino di casa di etnia Hmong lo porta a rivedere le proprie opinioni sul mondo.

Il 30esimo film di Eastwood regista, scritto con Nick Schenk, è un piccolo grande film. Ha uno stile semplice e lineare cui contrappone una grande quantità di temi, spunti, riflessioni. Ha le cadenze di un western e l’atmosfera di un noir. Costruisce in modo impeccabile una suspense sommessa che, nel finale, porta ad una risoluzione dell’intreccio davvero inaspettata.  Alla soglia degli ottant’anni, l’ex pistolero dei film di Leone gira il suo film più esplicitamente autobiografico, secondo alcuni un vero e proprio testamento: si apre e si chiude con un funerale, dunque, in odore di morte, che è traguardo finale di una vita – Eastwood è comunque nato nel 1930 – ma anche punto d’arrivo di un progetto artistico. Nel suo ultimo film da attore (che doveva essere, ma non è stato), il giustiziere incarnato per quarant’anni sembra posare le armi. Walt simula lo sparo con le dita, simulacro del sangue verrsato in passato (dagli USA, ma anche dagli stessi personaggi di Eastwood). Il giustiziere (e il regista insieme a lui) è stanco della violenza, ma sa che l’America È violenza (vi ricordate il finale de Gli Spietati?), e che nella violenza, ancora una volta, si risolverà tutta la vicenda. Ma questa volta il concetto di vendetta è rivoltato, svuotato dei suoi clichè, ribaltato perchè finalmente il giustiziere lascia il posto all’uomo giusto. Che sono due cose molto, molto diverse. Il sacrificio di Walt assume valenze, prima che cristologiche, squisitamente morali: è il padre che si sporca le mani un’ultima volta per evitare che se le sporchi il figlio. C’è dunque il tema tutto eastwoodiano (da Un mondo perfetto a Mystic River, passando per Million Dollar Baby) della responsabilità dei padri verso i figli, che per la prima volta in tutta la sua opera assume una valenza positiva e non negativa (la scelta di “adottare” un orfano stavolta paga).

Altro tema forte: il concetto di “americanità”, che Walt millanta attraverso oggetti che in realtà non usa (la Gran Torino, il canestro appeso fuori casa) e appartenenze entiche fasulle (lui in realtà è polacco, il barbiere è italiano). Eastwood sembra chiedersi: CHI è davvero americano? Non siamo forse una nazione di immigrati? Dunque, come possiamo avercela con gli immigrati? L’americanità, sembra dirci, non è un concetto etnico, ma umano: e allora capiterà che gli americani PURI non saranno davvero un granchè (la stessa famiglia di Walt, bianca e cattolica, è mostruosa), e che gli americani d’adozione (come Thao) si meriteranno di possedere guidare quella Gran Torino simbolo di un’America laboriosa e proletaria, buona e calorosa.

Dialoghi estremamente divertenti e mai veramente fastidiosi (anche gli insulti razzisti di Walt sembrano proferiti da un bambino smorfioso piuttosto che da un vecchio carico d’odio), un senso del racconto leggiadro e frizzante che non perde un colpo, una serie infinita di “piccoli momenti” che emozionano e scaldano il cuore. Eastwood mescola come suo solito registri molto diversi: si passa da momenti quieti e riflessivi a momenti tesi e angosciosi, senza che mai vengano meno cose come la sobrietà, il rifiuto di qualsiasi compiacimento, l’eleganza formale. Film pieno di digressioni, ellissi, divagazioni, volutamente lento e sospeso, lontano (almeno a livello strutturale) dai canoni “classici” che spesso vengono attribuiti al regista.  L’impressione è quella che Eastwood abbia fatto il film che ha sempre voluto fare. Visto il risultato, gliene siamo grati.

403_14_screenshotOttimo montaggio di Joel Cox e magistrale fotografia di Tom Stern che, anche cromaticamente, dipinge il grigiore della periferia di Detroit. Musiche scritte e suonate da Eastwood con il figlio Kyle e Michael Stevens. E infine c’è lui, il vecchio Clint, raramente così bravo nella sua recitazione ridotta all’essenziale. Previa anche un’ignobile indifferenza alla serata degli Oscar, è stato giudicato da molti spettatori un film tematicamente “banale”: in realtà è il film più complesso e “politico” di Eastwood, nonché il più armonico e perfetto che si sia visto nelle sale dal 2000 ad oggi. Una curiosità: per la prima volta in un film del regista c’è un prete visto come personaggio positivo. Bellissimo.

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3 risposte a Gran Torino

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