I ponti di Madison County

(The bridge of Madison County)

Regia di Clint Eastwood

con Meryl Streep (Francesca Johnson), Clint Eastwood (Robert Kincaid), Annie Corley (Caroline Johnson), Victor Slezak (Michael Johnson), Jim Haynie (Richard Johnson), Michelle Benes (Lucy Redfield).

PAESE: USA 1995
GENERE: Drammatico
DURATA: 134′

Iowa, 1995. Alla morte della madre, i fratelli Caroline e Michael apprendono dal suo testamento che la donna ha avuto una relazione, nel 1965, con il fotografo giramondo Robert Kincaid. In nome della famiglia ha però rinunciato a quell’amore così poetico e romantico e ha vissuto una vita “normale”, senza sussulti. I figli, prima arrabbiati e poi comprensivi, impareranno dalla madre un importante lezione, e questa li spingerà ad avere il coraggio di mettere a posto i loro tesi rapporti matrimoniali.

Tratto dal lacrimoso e mediocre romanzo omonimo di Robert James Waller – ma adattato dal talentuoso Richard LaGravenese – è un melodramma dei nostri giorni che parla di una fugace storia d’amore impossibile che ha come perno una donna di immensa statura morale che in nome della famiglia sacrifica i propri sogni, senza farlo mai pesare a nessuno. Nella quotidianità della società USA e degli immensi paesaggi dell’Iowa, Eastwood filma due personaggi – scegliendo per la prima volta un punto di vista femminile – apparentemente anonimi che con l’avanzamento del film assumono una dimensione quasi epica, nel loro soffocare un qualcosa di bello in nome di qualcosa di giusto. Eastwood rispetta le unità aristoteliche nonostante le due linee temporali (1995 – 1965): tutto si svolge attorno alla casa dei Johnson, simbolo della scelta di Francesca e quasi terzo personaggio, quello che spinge la donna a non lasciarsi andare. Ma la vera forza del film sta nei due ottimi protagonisti, che sfoggiano un metodo recitativo basato su un realismo e un emotività raramente riscontrata nel cinema americana. Per questo il film è da consigliare in lingua originale (nonostante il buonissimo doppiaggio italiano). Eastwood padroneggia un genere che non gli appartiene con grande abilità, mantenendone i canoni ma rileggendolo dall’interno: usa i piani sequenza per accentuare il realismo e il senso di “tempo che passa”, si affida all’opaca fotografia di Jack N. Green per sottolineare la routine della vita di Francesca, punta sui particolari più che sulle scene madri. Un piccolo, grande film che parla di amore senza banalità, senza sentimentalismi, con un messaggio di libertà e dignità raramente così poetico.

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