Guerre Stellari

Dal 1997 rititolato Star Wars: Episodio IV – Una nuova speranzastar_wars_poster

(Star Wars, dal 1999 rititolato Star Wars: Episode IV – A New Hope)

Regia di George Lucas

con Mark Hamill (Luke Skywalker), Harrison Ford (Ian Solo), Carrie Fisher (Principessa Leila Organa), Alec Guinness (Ben “Obi Wan” Kenobi), Peter Cushing (Governatore Tarkin), David Prowse (Dart Fener), Peter Mayhew (Chewbecca), Anthony Daniels  (C-3PO), Kenny Baker (C1-P8), Denis Lawson (Wedge Antilles), James Earl Jones (voce di Dart Fener).

PAESE: USA 1977
GENERE: Fantascienza
DURATA: 121′

“Tanto tempo fa, in una galassia lontana, lontana”, gruppi ribelli danno filo da torcere al malvagio impero galattico. Dart Fener, perfido luogotenente imperiale, cattura la ribelle principessa Leila che gli ha sottratto i piani costruttivi della Morte Nera, astronave gigantesca e potentissima capace di disintegrare un intero pianeta. Dal pianeta Tatooine, il giovane Luke Skywalker scopre l’inghippo e parte per salvarla accompagnato da due androidi, dai piloti Ian Solo e Chewbecca e dal cavaliere Jedi Obi Wan Kenobi, ex maestro di Fener e ultimo custode della celeberrima quanto misteriosa “forza”…

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Primo film di una lunga, fortunatissima saga che rivoluzionò il concetto stesso di intrattenimento e divenne, nel giro di pochissimi anni, uno dei più grandi successi di pubblico (e di marketing) che il cinema ricordi. Con 2001: Odissea nello spazio Kubrick aveva traghettato la fantascienza nell’olimpo della serie A caricandola di riflessioni e suggestioni “alte”, con Star Wars Lucas la riporta ad una dimensione orgogliosamente “ludica”. Film di fantascienza (ai tempi) controcorrente perché molto fantasy e molto poco scientifico, trasparente e lineare come una fiaba Disney e, forse proprio per questo, estremamente godibile per qualsiasi tipo di pubblico. Ma il segreto del suo successo “planetario” sta soprattutto nell’aver attinto direttamente al mito, dipingendo un affresco universale e privo di sfumature (anche solo nella distinzione tra buoni e cattivi, bene e male) che mescola con sagacia ingredienti “raccolti” in ambienti anche molto diversi: il fumetto, la pittura, la letteratura, il cartoon, il videogame, il cinema stesso. Suggestioni medievali (il futuro, tolta la tecnologia e i viaggi interstellari, somiglia molto al passato: duelli con la spada, appellativi nobiliari, villaggi rurali) incontrano stralci di spiritualità (la “forza” è una miscela di religione taoista e filosofie junghiane) e grosse dosi di fantasy, il tutto condito con una grande ironia che non teme di sfiorare l’autoparodia o di svelare esplicitamente i modelli di cui si nutre (i b-movie della Hammer, quelli del nostro Mario Bava, Flash Gordon, Buck Rogers, la pittura di Bosch, la letteratura di Frank Herbert, ma ci sono anche citazioni di Sentieri selvaggi, Metropolis, dello stesso 2001).

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Lucas, anche sceneggiatore, omaggia il cinema di una volta anche nello stile (c’è addirittura la mitica dissolvenza “a tendina” dei tempi del muto) e riesce a creare personaggi mirabolanti che in un attimo diventano icone. Pieno di inverosimiglianze negli sviluppi dell’intreccio, impregnato di orgoglio yankee nella battaglia finale, manicheo quanto si vuole, ma resta una pietra miliare nella sua perfetta miscela di fantasy e romanzo di formazione, scavo psicologico e azione esplosiva, riferimenti colti e spettacolo nazional-popolare. La sua multimedialità, intesa come la capacità di far convivere suggestioni “rubate” dai media più disparati, è la caratteristica che lo rende un film incredibilmente moderno. La riuscita di questo filmone che ripropone, ribadendone l’universalità, tutti i topoi tipici del racconto classico, resta imprescindibile dai contributi tecnici che l’hanno resa possibile: dagli effetti speciali della nascente Industrial Light and Magic al mirabolante montaggio di Paul Hirsch, Richard Chew, Marcia Lucas e dello stesso regista; dalle celeberrime musiche di John Williams (eseguite dalla London Symphony Orchestra) alle spettacolari (e molto inventive) scenografie di John Barry.

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L’attore Peter Cushing, che fu Van Helsing negli horror della Hammer (tra i modelli più cari a Lucas), appare nella parte del grigio consigliere Tarkin, mentre il grande James Earl Jones presta la voce al perfido Dart Fener, interpretato dal body builder David Prowse. In lingua originale questo temibile cattivo – senza dubbio uno dei più affascinanti e riusciti della storia del cinema – si chiama Darth (=dark, oscuro) Vader (Father=Padre, ma anche IN-vader), e non Fener come nella deprecabile versione italiana che voleva evitare – NO COMMENT – collegamenti “poco romantici” da parte del pubblico (vader=water=toilette). Altri nomi (stavolta inspiegabilmente) “modificati” sono quelli di Leia (in italiano Leila), Han Solo (in italiano Ian) e dei droidi. Nel 1997, quando Lucas ottenne l’ok per produrre la cosiddetta trilogia “nuova” (ambientata precedentemente e inerente al personaggio di Anakin/Dart Fener), il film tornò nelle sale col titolo Star Wars – Episodio IV: Una nuova speranza. Grazie ad un’oramai rodata tecnologia digitale, che nel 1977 era assolutamente impensabile, Lucas potè per l’occasione ritoccare molti effetti speciali “artigianali” (come il passo uno) considerati obsoleti. Nel bene e nel male, un film imperdibile. Anche per capire il cinema venuto dopo.

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