Collateral

(Collateral)

Regia di Michael Mann

con Tom Cruise (Vincent), Jamie Foxx (Max), Mark Ruffalo (Fanning), Jada Pinkett Smith (Annie), Peter Berg (Richard Weinder), Javier Bardem (Felix), Bruce McGill (Pedrosa), Debi Mazar (Professionista), Irma P. Hall (Ida), Barry Shabaka Henley (Daniel), Emilio Rivera (Paco).

PAESE: USA 2004
GENERE: Thriller
DURATA: 119′

Los Angeles. Incontro notturno tra l’abitudinario tassista di colore Max ed un sicario freddo e abilissimo che lo obbliga a scarrozzarlo in cinque zone della città, cinque abitazioni in cui deve uccidere personalità influenti scomode ai suoi datori di lavoro. All’inizio Max, impaurito e terrorizzato, accetta di seguirlo, ma ben presto deciderà di ribellarsi per salvare una persona che gli sta a cuore e che, sorpresa, è proprio nella lista del killer.

L’opus n° 9 di uno dei registi americani più interessanti somiglia ad una seduta di jazz, simile a quella che si vede – e si sente – nel film stesso: notturna, imprevedibile, dinamica, a tratti movimentata, a tratti riflessiva e quieta. È un film che parla del caso come unica legge che sembra governare il mondo. Come si possono controllare le conseguenze di qualcosa? Non si può. Mann gira uno dei suoi capolavori con una lucidità estrema, capace di gettarsi nell’azione più furente come nella filosofia: la sceneggiatura più che perfetta di Stuart Beattie alterna con equilibrio momenti leggeri ad altri pesanti, e non disdegna riflessioni sulla vita e sull’esistenza rare da trovare in un film come questo che, seppur d’autore, resta comunque un poliziesco- noir d’azione. La sua bellezza è tutta qui, dentro la sua alternanza compositiva che diventa metafora del mondo e dei paradigmi che lo governano. Prima di essere una metafora filosofica, comunque, è un film che parla della notte, del suo fascino e dei suoi misteri, di cosa accade quando la gente “comune” si chiude in casa e si mette a dormire. Questo è ciò che interessa a Mann, e questo è ciò che con grande passione riesce a trasmettere allo spettatore. Per quanto riguarda la forma, Collateral è sicuramente il Mann più curato in assoluto, quello con l’ambientazione più affascinante: la tanto citata notte diventa il terzo protagonista del film e comprime in sé l’intero intreccio, dal tramonto all’alba. Merito dell’uso del digitale (l’80 % delle riprese) che garantisce da un lato un incredibile realismo quasi “documentario”, dall’altro una “granulosità” dell’immagine che ricorda le vecchie pellicole di celluloide e che va a braccetto con le sfocature e i contrasti delle luci notturne; menzione speciale quindi alla fotografia di Don Beebe e Paul Cameron, che quelle incredibili luci le hanno scelte e posizionate. Mann orchestra tutto con una regia impeccabile, e finalmente non ha più nessuno che frena la sua autorialità e il suo ormai riconosciuto estro visionario. Alcune sequenze, come la sparatoria in discoteca, sono di un virtuosismo – sempre funzionale al racconto – incredibile,  mentre altre, come quella in cui un lupo grigio attraversa la strada al taxi in centro a Los Angeles o quella in cui Vincent muore sulla metro, sono rari pezzi di poesia hollywoodiana. Bellissimi i personaggi (da Max al detective Fanning, mentre forse il più stereotipato è proprio Vincent), e ottimi gli attori che li portano in scena. Cruise è bravo a mettersi in gioco evitando le pose da star e accettando di invecchiarsi – tramite il trucco – di almeno dieci anni: resta una delle sue interpretazioni migliori. Musiche all’altezza, dai Groove Armada a Bruce Springsteen, dagli Audioslave fino al Jazz nostalgico di Miles Davis. Cammeo di Jason Statham all’inizio, nella stazione.

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Una risposta a Collateral

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