Stand by me – Ricordo di un’estate

(Stand by me)

Regia di Rob Reiner

con Wil Wheaton (Gordy Lachance), River Phoenix (Chris Chambers), Corey Feldman (Teddy Duchamp), Jerry O’ Connell (Vern Tessio), Kiefer Sutherland (Ace Merrill), Casey Siemaszko (Billy Tessio), Gary Riley (Charlie Hogan), Bradley Gregg (Eyeball Chambers), Jason Oliver (Vince), John Cusack (Danny Lachance), Richard Dreyfuss (Lo scrittore).

PAESE: USA 1986
GENERE: Drammatico
DURATA: 89′

Castle Rock, Oregon 1959: quattro amici dodicenni con alle spalle situazioni familiari difficili cominciano un viaggio a piedi verso la zona in cui si dice sia scomparso un loro coetaneo. Durante il viaggio litigano, fanno gruppo, scoprono il dolore, la morte. Trovato il cadavere, fanno una telefonata anonima alla polizia. La storia è narrata da uno di loro, Gordon, cresciuto e divenuto scrittore di fama…

Dal racconto The body di Stephen King, pubblicato nella raccolta Stagioni diverse e adattato da Raynold Gideon e Bruce E. Evans. Un meraviglioso film di formazione che racconta il passaggio dall’infanzia all’età adulta col giusto dosaggio di crudeltà e tenerezza, non disdegnando molte frecciate alla società (e alla storia) degli Stati Uniti e tratteggiando una delle storie d’amicizia più struggenti mai raccontate su uno schermo. Qualche anno prima dell’ottimo Un mondo perfetto di Clint Eastwood (1993), Reiner rappresenta senza patetismi un’America dai padri assenti o corrotti, una landa desolata in cui il sogno americano ha lasciato spazio a parecchi incubi. La catarsi, l’unica salvazione possibile, avviene tramite l’arte e tramite il racconto, unici modi possibili per pacificarsi coi propri ricordi. Memorabile la sequenza in cui Wil racconta la storia del ciccione per addolcire la solitaria notte dei suoi amici, per scaldare il freddo delle loro dolorose esistenze: raramente qualcuno aveva espresso così bene il potere salvifico delle storie. Senza cessioni retoriche o romantiche, Reiner si sofferma sugli sguardi, sui silenzi, e preferisce il registro della malinconia piuttosto che quello – più “facile” – della tragedia. Amaro, forse nostalgico, ma mai lamentoso. Gli straordinari paesaggi desolati dell’Oregon, raccontati come li racconterebbe un pittore, diventano luoghi dell’anima (fotografia del grande Thomas Del Ruth, già collaboratore di Fandango di Kevin Reynolds). Straordinari i quattro giovani attori protagonisti. Quando nel finale si scopre che Chris è morto giovane, viene la pelle d’oca: River Phoenix, l’attore che lo interpreta, morì di overdose nel 1993, a ventitré anni. Molte nomination, ma inspiegabilmente (e ingiustamente nemmeno un Oscar. Il titolo è preso in prestito dall’omonima, famosissima canzone di Ben E. King. Imperdibile.

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