Io non ho paura

Regia di Gabriele Salvatores

con Giuseppe Cristiano (Michele Amitrano), Mattia Di Pierro (Filippo Carducci), Aitana Sánchez-Gijón (Anna Amitrano), Diego Abatantuono (Sergio “Il Milanese”), Dino Abbrescia (Pino Amitrano), Susy Sanchez (Madre di Filippo), Antonella Stefanucci (Assunta), Riccardo Zinna (Pietro), Adriana Conserva (Barbara), Fabio Tetta (Antonio “Teschio” Natale), Giulia Matturro (Maria Amitrano), Stefano Biase (Salvatore), Giorgio Careccia (Felice Natale), Michele Vasca (Candela).

PAESE: Italia 2003
GENERE: Drammatico
DURATA: 109′

Estate 1987. In un paesino di quattro case nelle Murge (Puglia), il piccolo Michele scopre in aperta campagna una botola con dentro un coetaneo, tenuto segregato. Sconfiggendo la paura dell’altro i due diventano amici, mentre Michele pian piano scopre una terribile verità sugli adulti del suo villaggio…

Tratto dal fortunato romanzo omonimo di Niccolò Ammaniti (anche sceneggiatore con Francesca Marciano), è il miglior film di Salvatores, il più lirico e il più poetico. Questo Io non ho paura può essere tranquillamente considerato il nostro Stand by me (1986, Rob Reiner): parla del passaggio dall’infanzia all’età adulta con una temporalità lineare che ne determina lo status di romanzo di formazione. Salvatores è abile, molto più che in passato, nello sviluppo dei registri narrativi: è un film costruito come una fiaba (simbolo dell’infanzia) che si trasforma in thriller a suspense con contorni horror (simbolo della paura del cambiamento) e diventa un dramma d’amicizia che esalta l’essere bambini – in grado di sognare – a discapito dell’essere adulti (senza sogni e inclini alla mediocrità). E una morale che non è affatto male, coi tempi che corrono: la scoperta del diverso, delle sue peculiarità, contribuisce a sconfiggere la paura. Il pastiche di generi tipico dell’opera del regista italiano questa volta funziona a dovere: dalla commedia al thriller di suspense, dal melodramma all’horror, il tutto amalgamato con precisione e inserito in una forma filmica perfetta, che alterna continuamente tre livelli visivi ben distinti (aria, terra, sotto terra) che sono anche simbolo dell’esistenza dell’individuo. Fiabesco ma realistico, ha uno dei suoi principali punti di forza nell’originale ambientazione – il film è quasi interamente girato tra i campi di grano pugliesi – che diventa un luogo mentale, bellissimo, onirico e suggestivo: merito della fotografia eccelsa di Italo Petriccione, che accentua i colori caldi (rosso e giallo specialmente) e si muove tra esasperate luminosità e affascinanti contrasti. Girato in formato panoramico, ricorda il cinema western – oltre che per la già citata, spoglia ambientazione – anche nei passi in cui l’uomo diventa piccolo e insignificante rispetto al paesaggio, dinnanzi alla maestosità della natura. Musiche strepitose, che riecheggiano quelle delle favole, composte da Ezio Bosso e Pepo Scherman su intuizioni di Morricone. Strepitosi gli attori bambini, tutti quanti esordienti, ma grande anche un Abatantuono istrione nel suo ruolo più sgradevole in assoluto. Candidato all’Oscar come miglior film straniero, vince comunque 3 Nastri d’argento  – regista, fotografia, attore non protagonista (Abatantuono) – 1 David di Donatello(sempre per la fotografia) e l’Efebo d’oro 2003.

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