Puerto Escondido

Regia di Gabriele Salvatores

con Diego Abatantuono (Mario Tozzi), Valeria Golino (Anita), Claudio Bisio (Alex), Renato Carpentieri (Commissario Viola), Antonio Catania (Di Gennaro), Fabrizio Bentivoglio (Uomo sull’autobus), Yolanda Orisaga (Carmen).

PAESE: Italia 1992
GENERE: Avventura
DURATA: 115′

Testimone scomodo di due omicidi operati da uno spietato commissario di polizia, il vicedirettore di banca Mario Tozzi è costretto a fuggire in Messico, dove diventa amico di due connazionali fumati che non tarderanno a metterlo nei guai.

Il sesto film di Salvatores è forse anche il suo più sopravvalutato e meno riuscito. Come il precedente Mediterraneo è la storia di una fuga “obbligata” e fisica che diventa metafora di una più astratta che abbandona le convezioni e le magagne del capitalismo all’occidentale. Fin qui tutto bene, nessuno si permetterà mai di dire che Salvatores non è in buona fede – è uno dei pochi che crede sempre in quello che fa – o che le sue idee volutamente utopistiche siano banali o pretestuose. È invece sul piano tecnico che la pellicola delude parecchio: la sceneggiatura – del solito Enzo Monteleone, questa volta col regista e Abatantuono – è sconclusionata e di rara inverosimiglianza, e dove vorrebbe essere grottesca e surreale è più che altro ridicola, assurda, puerile; le metafore sull’italiano medio sono abusate e poco graffianti, il terzomondismo è da cartolina e un po’ troppo colmo di luoghi comuni; gli attori, a parte Bisio, sono poco convincenti (imbarazzante la vocina bambinesca della Golino, senza briglie l’istrionismo del pur bravo Abatantuono), la regia è piatta e fa rimpiangere il classicismo dei film precedenti. Qualche gag divertente non basta: è noioso e ripetitivo, quasi spossante nel suo continuo girare intorno senza decidersi. Peccato, perché Salvatores ha dimostrato di sapere fare molto meglio. Il film fa diventare la trilogia della fuga (che contiene Marrakech Express, Turnè e Mediterraneo) una tetralogia.

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