Fino a prova contraria

(True Crime)

Regia di Clint Eastwood

con Clint Eastwood (Steve Everett), Isaiah Washington (Frank Louis Beechum), Lisa Gay Hamilton (Bonnie Beechum), James Woods (Alan Mann), Denis Leary (Bob Findley), Bernard Hill (Warden Luther Plunkitt), Diane Venora (Barbara Everett), Michael Jeter (Dale Porterhouse), Mary McCormack (Michelle Ziegler), Michael McKean (reverendo Shillerman), Erik King (Santa Clause).

PAESE: USA 1999
GENERE: Drammatico
DURATA: 127′

Il giornalista Steve Everett, ex alcolista, puttaniere e poco simpatico, tenta di salvare dall’iniezione letale un giovane nero incarcerato ingiustamente.

Tratta dal romanzo Prima di mezzanotte di Andrew Klavan, la 21esima tappa registica Clint Eastwood è un incrocio tra l’opera d’ambiente giornalistico e il film carcerario. Costruendo un personaggio antipatico e ambiguo dirige il suo film più ambizioso a livello tematico: in un colpo solo lancia frecciatine al sistema carcerario, alla cultura dei media di massa (specialmente giornali e televisione), al giornalismo del “lato umano”, ai pregiudizi di una nazione bigotta e razzista, all’ipocrisia della Chiesa cattolica. Tutto molto onorevole, ma all’equilibrio degli intenti non corrisponde un altrettanto equilibrata forma filmica: la sceneggiatura, per quanto offra parecchi spunti di riflessione, è un po’ banale nel suo procedere per stereotipi; il tanto citato classicismo eastwoodiano diventa troppe volte banale scrittura televisiva, pur non disdegnando parentesi ben costruite e ad effetto (la scena in cui la figlia di Beechum perde il pastello verde speranza); i personaggi sono forse un po’ troppo caricaturali nella loro volutamente ricercata simbologia politica; il finale è scontato e prevedibile sin dall’inizio. È un film non riuscito, ma si deve comunque ammettere con onestà che il ritmo c’è e la storia coinvolge, forse proprio perché un po’ troppo abusata. Qualcuno ha citato Griffith per quanto riguarda il “finale all’ultimo minuto” col montaggio alternato, e ci può stare, ma attenzione a non confondere la semplicità col semplicismo. È comunque un Eastwood a 18 carati: l’America dai padri assenti, il culto dell’orrido e del macabro del pubblico televisivo, il perbenismo moralista della società USA, un personaggio ambiguo che difficilmente attira le simpatie degli spettatori (Everett agisce più per vincere il Pulitzer che per salvare realmente il malcapitato Frank), tutti temi e specificità che da sempre accompagnano il suo cinema registico. Qualche sequenza, nel bene e nel male, è difficile da dimenticare.  Come sempre ineccepibili i reparti tecnici: dal montaggio di Joel Cox alla fotografia di Jack N. Green, dalle musiche del fido Lennie Niehaus alle scenografie opprimenti e carcerarie di Henry Bumstead. Tra gli attori spiccano un Woods sopra le righe ed un bravissimo Washington sotto, il primo degno erede di Walter Matthau e il secondo del miglior Weasley Snipes diretto da Spike Lee. Un Eastwood minore, scontato, a tratti patetico, ma il risultato è comunque sufficiente. Almeno per chi è di bocca e buona ed apprezza la conversione “liberal” del regista.

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