Funny Games¹

(Funny  Games¹)

Regia di Michael Haneke

con Susanne Lothar (Anna), Ulrich Mühe (Georg), Arno Frisch (Paul), Frank Giering (Peter), Stefan Clapczynski (Schorschi), Doris Kunstman (Gerda), Christoph Bantzer (Fred), Wolfgang Glück (Robert), Susanne Meneghel (Gerdas Schwester), Monika Zallinger (Eva).

PAESE: Austria 1997
GENERE: Drammatico
DURATA: 103′

Due giovanotti della buona borghesia, carini ed apparentemente educati, rapiscono, seviziano e mettono a morte una famigliola in vacanza, il tutto senza moventi o motivi plausibili.

La quarta opera di Michael Haneke, cineasta austriaco che ha studiato filosofia e psicologia, è anche la sua prima tradotta per il pubblico italiano. Questo anomalo piccolo film a basso budget si figura sia come un apologo sulla violenza intesa come valore negativo fondante dei nostri tempi, sia come una metafora del ruolo che essa assume nella storia del cinema e più in generale in quella dei mass media tutti. Al di là delle legittime riflessioni socio- politiche che inevitabilmente la pellicola porta a galla – come il fatto che i due mostruosi assassini siano perfetti nell’esteriorità e orribili nell’anima – essa si rivela più che altro come una parabola “straordinaria” che ha però le sue radici nella quotidianità, in quanto ciò che accade alla famiglia di Georg è esagerato ma non improbabile (specie al giorno d’oggi) . Il regista “gioca” con lo spettatore e lo cattura in un ruolo contradditorio: da un lato gli suggerisce – tramite i personaggi – di abbandonare la visione , dall’altro lo obbliga a proseguire barando sulle sue aspettative e solleticandone il voyeurismo (che è poi una componente tutta cinematografica). Si può dunque discutere all’infinito la legittimità del procedimento, ma sicuramente non si può negarne la perfezione ideativa. Ciò che ha contribuito all’insuccesso della pellicola e allo stesso tempo ne ha decretato l’unicità nel panorama mondiale è la scelta di caratterizzare alla perfezione due “cattivi” senza però motivarne le gesta: la loro violenza è infatti immotivata e per questo ancor più terribile, malata, oscenamente senza speranza. Se infatti il suo radicale pessimismo è un’altra componente che non ne ha giovato gli incassi, si deve comunque ammettere che la  visione di questi taglienti 103 minuti è veramente difficile, quasi insostenibile, anche perché Haneke mette in scena una violenza secca e iperrealistica che però non è mai gratuita, in quanto rifiuta con decisione qualsiasi catarsi o risvolto epico- romantico compiacente. È un film che non vuole intrattenere, vuole scioccare e poi solo dopo far pensare, e ci riesce alla perfezione senza utilizzare pretestuosi intellettualismi . La sceneggiatura (dello stesso regista) lascia solo un breve spiraglio allo spettatore, ma nel punto in cui lo fa ormai è impossibile perdere l’identificazione coi protagonisti o tranquillizzarsi: è quando uno dei due assassini “stoppa” letteralmente la pellicola e la manda indietro come se avesse un telecomando identico a quello di chi sta guardando il film, sottolineando tramite un po’ di sano meta cinema la finzione della storia. Sembra che ci dica di dormire tranquilli, di rasserenarci pensando che si tratta di una semplice favola, ma non è facile dimenticare ciò che si è visto fino a quel punto. Gli attori, sconosciuti al grande pubblico, aumentano il coinvolgimento e l’identificazione e lo rendono ancor più crudele e raccapricciante. È un “horror borghese” con due assassini che fondono Stanlio e Olio e Arancia Meccanica, un film di paura in cui il sangue e le azioni violente sono relegate al fuori campo: sono terribili proprio perché ce le immaginiamo e basta, dando corpo ai nostri peggiori incubi. Regia dunque molto originale, fotografia volutamente rozza ma di rara efficacia (Juergen Juerges). Rifatto nel 2007, inquadratura per inquadratura ma a Hollywood, dallo stesso regista.

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