2001: Odissea nello spazio

(2001: A Space Odissey)

Regia di Stanley Kubrick

con Keir Dullea (David Bowman), Douglas Rain (voce di Hal 9000), Gary Lockwood (Frank Poole), William Sylvester (Dottor Heywood Floyd), Daniel Richter (Guarda La Luna), Leonard Rossiter (dottor Andrei Smyslov), Margaret Tyzack (Elena), Robert Beatty (Dottor Halvorsen), Sean Sullivan (Michaels).

PAESE: Gran Bretagna, USA 1968
GENERE: Fantascienza
DURATA: 145′

Africa, quattro milioni di anni fa. Un branco di ominidi trova un monolito nero fuori da una grotta. Subito dopo impara a cacciare e ad uccidere per difendersi. Nel 2001 il monolito ricompare sulla Luna, e a contatto con la luce del sole emette un segnale radio cosmico. Intanto l’astronauta David Bowman, dopo aver disattivato il computer ribelle della propria nave spaziale, viene catapultato in un viaggio nell’infinito che supera ogni concetto  spazio temporale e culmina con la sua morte e rinascita sottoforma di feto meditabondo che osserva la Terra. E il monolito riappare ancora una volta…

Tratto dal racconto The Sentinel (1948) di Arthur C. Clark – che l’ha sceneggiato col regista, l’ottavo film di Stanley Kubrick rappresenta tutt’oggi la vetta della sua opera e uno dei capolavori assoluti della storia del cinema. Disponendo di un alto budget e della piena fiducia della Warner Bros (rincuorata dal successo di Lolita e Stranamore), Kubrick porta il genere di serie B per eccellenza fuori dal ghetto e inventa un’odissea in 70 mm senza precedenti. Rinunciando quasi totalmente all’uso delle parole, gira l’unico film commerciale “moderno” che affida il suo intero potere alla forza delle immagini, ritornando ad una concezione di cinema “puro” che molte volte nemmeno i capolavori del muto erano riusciti a proporre. Tramite la metafora del monolito, che appare ogni volta che l’evoluzione compie un passo in avanti (è Dio? O una forza aliena? O ancora, un simbolismo dell’evoluzione stessa?), il film ripercorre l’esistenza degli esseri umani dalla preistoria ad una “nuova umanità”, rappresentata dal feto di Bowman che guarda con occhi speranzosi una Terra che non è identificabile temporalmente o spazialmente: si tratta semplicemente di una metafora della ciclicità dell’esistenza e dell’universo.

Ad una lettura esistenziale, non l’unica ma quella più esplicita, Hal 9000 è simbolo sia dell’abominio tecnologico (quando la macchina si ribella al creatore, per quest’ultimo è finita) sia della conoscenza propria di ogni vita che, giunta all’apice, è destinata a distruggersi con la fine di quella vita. Una conoscenza che non può che ripartire con una nuova vita (il feto). Qui si cela tutta l’ambivalenza del film: l’ultima apparizione del monolito annuncia una nuova razza – più intelligente della nostra – o semplicemente un nuovo scalino evolutivo? La tecnologia è sempre conoscenza o spesso diviene sottomissione mentale? L’unica cosa che è dato sapere è che l’osso di Guarda La Luna, con cui impara ad uccidere, si trasforma dopo milioni di anni in un oggetto (il computer) creato dall’uomo che vuole uccidere il suo creatore.  Un creatore arrogante che, come Dio e più di Dio, pretende che la sua invenzione sia perfetta (un tecnico dice che Hal non può commettere errori): dalla Torre di Babele alle Twin Towers, passando per il Titanic, ci si accorge che questa superbia umana ha spesso fallito.

L’unica cosa certa è che spendere parole sulla comprensione di questo film appare quantomeno pretenzioso: “Se qualcuno sarà sicuro di aver capito questo film, allora vorrà dire che ho sbagliato qualcosa” (Stanley Kubrick). Dunque un film senza senso, come molto pubblico moderno è riuscito a dire? No. Più che altro – e qui si vede il confine tra il genio e l’idiota – una storia talmente basata sull’aspetto sensoriale e visivo da attuare nello spettatore un pensiero meramente soggettivo, molto simile a quello che si prova dinnanzi ad un quadro, ad una fotografia o ad un pezzo di musica classica. La comprensibilità del film è tutt’oggi riconosciuta, ma certo questo non si può dire per il messaggio, un messaggio che ogni spettatore cerca dentro di sé e dentro le proprie conoscenze. La grande sfida di Kubrick è stata proprio questa: girare un film fantascientifico che, parlando dell’umanità, spinge lo spettatore ad un pensiero che egli stesso crea mescolando la propria vita con la storia del film.

In questo periodo di rivalutazioni, molti negano al film la preveggenza che tanti gli attribuirono negli anni ottanta osservando i progressi del programma spaziale. Senza accorgersi che, se proprio si vuol rimproverare qualcosa al regista, gli si può dire che non ha calcolato le variabili storico- politiche: quando girò il film, Kubrick riunì diversi cervelloni della Nasa e domandò: “E’ possibile che nel 2001 la tecnologia sia giunta a questo punto?”. Ad una risposta affermativa, il regista si lanciò nel progetto senza pensare al fatto che la fine della Guerra Fredda avrebbe pian piano spento il programma spaziale. Gliene si può fare una colpa? O è da stupidi non comprendere che quell’anno nel titolo è più un simbolo che una pretesa realistica? E che dire di tutte le intuizioni che, invece, si sono realizzate? Schermi piatti, collegamenti ipertestuali, touch screen, calcolatori parlanti, computer che battono l’uomo a scacchi, e chi più ne ha più ne metta. Kubrick imbastisce il suo film su tre diverse blocchi distinti (La storia di Guarda La Luna, La base Lunare, il viaggio di Bowman) e, non temendo nemmeno di sprofondare nell’anti- narratività, gira un opera coraggiosa in cui la storia è totalmente subordinata all’esperienza sensoriale, composta da colori, inquadrature armoniche, movimenti fluidi ed equilibrati, suoni, musiche, percezioni di ogni tipo.

Con una prima parte assolutamente realista (unico film fantascientifico che opta per la coraggiosa scelta di non far sentire i suoni nello spazio: cosa vera ma antispettacolare) e una seconda decisamente più onirica, astratta, quasi metafisica. Ogni singola inquadratura, oltre che essere perfettamente funzionale all’intento, è di una ricercatezza visiva e materiale che punta, arrivandoci, al sublime, all’infinito, all’eterno. Ogni procedimento filmico utilizzato da Kubrick non fa che aumentare il senso di emozione e coinvolgimento: dalla magnifica ellissi in cui l’osso lanciato da Guarda La Luna diventa un’astronave (un salto di 4 milioni di anni in una sola inquadratura, senza didascalie, stacchi o parole) al modo di sistemare la macchina da presa negli ambienti asettici e colorati delle astronavi; dal viaggio di Bowman oltre il tempo e lo spazio (ispirato, si dice, alle visioni lisergiche del giovane Kubrick) al suo soggiorno nella “stanza della vita”, colma di conoscenza e arte.

Eccelsa fotografia di John Alcott e Geoffrey Unsworth, magnifiche scenografie di Ernie Archer, Harry Lange e Tony Master, quasi tutte ricostruite in studio con una precisione impeccabile(modellini, stanze, ambientazioni). Gli effetti speciali, curati da Douglas Trumbull (Blade Runner, Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo), sono tutt’oggi insuperati, e il loro punto forte sta nella scelta di averli “costruiti” uno per uno in maniera artigianale, rifiutando la nascente computer grafica che avrebbe conferito al film un aspetto datato da subito. Musiche eterne, da Strauss (Sul bel Danubio Blu, Così parlò Zarathustra) al compositore ungherese György Ligeti (Atmosfere, Luce eterna, Avventure, Requiem), integrate armonicamente con le immagini e col loro dinamismo.

Kubrick disse che il nome HAL era un omaggio a quello dell’IBM (le cui lettere seguono quelle di Hal in ordine alfabetico), mentre in tempi attuali Clarke ha detto che si tratta della sigla di Heuristical ALgoritmic. La voce italiana del computer è dell’attore palermitano Gianfranco Bellini: Kubrick la definì la migliore tra quelle che doppiarono il film, nonché a tratti superiore all’originale. Scandalosamente, un solo Oscar per gli effetti speciali. Kubrick tentò di “assicurare” il suo film ai Lloyd’s di Londra per essere risarcito se la realtà avesse superato la finzione della sua storia. Le assicurazioni rifiutarono, e persero un’occasione unica (ci avrebbero guadagnato milioni perchè, in effeti, non andò come temeva il regista). Uno dei film più importanti della storia, caposaldo di un genere, tripudio di calde emozioni, caleidoscopio di stupende immagini.

“Ognuno è libero di speculare a suo gusto sul significato filosofico del film, io ho tentato di rappresentare un’esperienza visiva, che aggiri la comprensione per penetrare con il suo contenuto emotivo direttamente nell’inconscio”.

Stanley Kubrick

 Inarrivabile e “inarrivato”, imperdibile.

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10 risposte a 2001: Odissea nello spazio

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  3. cinefobie scrive:

    Unico metafilm della storia. Filosofia finalmente lontana dagl intenti ejzenštejniani. Percezione. Divenire.

    Ottima e non facile recensione.

  4. nehovistecose scrive:

    Ti rignrazio, ho atteso a lungo perchè è una racensione che mette timore! 🙂 ma alla fine mi sono lanciato!

    Grazie!:

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