This must be the place

(This must be the place)

Regia di Paolo Sorrentino

con Sean Penn (Cheyenne), Frances McDormand (Jane), Eve Hewson (Mary), Judd Hirsch (Mordecai Levy), Kerry Condon (Rachel), Harry Dean Stanton (Robert Plath), Joyce Van Patten (Dorothy Shore), Olwen Fouéré (madre di Mary), Shea Whigham (Ernie Ray), David Byrne (se stesso), Liron Levo (Richard).

PAESE: Francia, Italia, Irlanda 2011
GENERE: Commedia Drammatica
DURATA: 118′

Cheyenne è un ex rocker in pensione che vive in Irlanda con la moglie. Annoiato dalla vita e apparentemente indifferente a tutto ciò che gli accade attorno, vola a New York per il funerale del padre che non vedeva da trent’anni. Inizia così un viaggio attraverso gli USA per portare a termine il volere del genitore, impegnato tutta la vita nella ricerca di un criminale nazista espatriato in America che lo umiliò in un campo di concetramento…

Dopo l’acclamato ma un po’ deludente sbarco americano di Gabriele Muccino, tocca al pluripremiato Sorrentino (Il Divo) varcare l’Atlantico per cercare un successo internazionale che per noi mancava, su per giù, dai tempi di La vita è bella di Benigni. Sorrentino scrive, sceneggia (con Umberto Contarello) e dirige, sponsorizzato da parecchie case produttrici note che vanno dalla Medusa alla Lucky Red. Il risultato è la storia di uno strambo personaggio fuori dal tempo che, come un novello Peter Pan, ha scelto di non crescere e di guardare le brutture del mondo senza parteciparvi direttamente, pur non osservandole mai con indifferenza. Cheyenne può essere letto come la metafora di qualsiasi cosa (il mito del successo, l’american dream, il declino della società, l’autodistruzione dell’artista, la solitudine dell’uomo) e la sua forza sta proprio in questo suo status di personaggio non identificabile, escluso non solo dai canoni sociali bensì pure da quelli cinematografici. Il trolley che si porta perennemente dietro è il simbolo di un fardello umano che ognuno possiede, peso opprimente ma allo stesso tempo generatore d’inerzia per continuare sulla strada della vita.

Sorrentino divide il film in due parti: la prima, in cui presenta una piccola comunità di perdenti che cercano continuamente una dignità esistenziale da troppo tempo sottrattagli; la seconda, in cui uno di essi parte per un viaggio che è un viaggio dentro sé stessi per rappacificarsi con le proprie origini. Molti gli rimprovereranno l’impianto di fondo, certamente poco originale: un uomo con un problema parte per un viaggio in cui trova sé stesso e riscatta la propria esistenza, in un tipico romanzo di formazione misto a Road movie che, da Eastwood in poi, molti hanno rappresentato. Le atmosfere ricordano Paris, Texas e Zabriskie Point, l’umorismo grottesco e surreale deve molto ai film dei fratelli Coen, il protagonista sembra un moderno Edward Mani di Forbici, anch’esso asserragliato in un castello. Ritratto manierato, dunque? Assolutamente sì, ma di classe. Sorrentino è un regista di piccole cose, di sguardi, di mezze parole, di personaggi strambi del circo del mondo che, coraggiosamente, appaiono per dire la loro e poi scompaiono dalla narrazione. Certo, spesso si avvicina pericolosamente alla caricatura e molte volte i discorsoni filosofici paiono un po’ ridondanti,  ma il messaggio è sincero (vivere è un po’ attendere) e la messa in scena originale e coinvolgente.

Il dibattito sull’autorialità del regista napoletano durerà ancora a lungo, ma guardando questa sua prima opera internazionale tutto si può dire, tranne che non ci si trovi davanti ad un bel film. Merito di un Sean Penn spettacolare, ben doppiato da Massimo Rossi, di un corpo di comprimari eccellenti (dalla McDormand a Hirsch), di un regista intelligente che si nutre di cinema senza mai giocare con il citazionismo sfrenato ne tantomeno col virtuosismo fine a se stesso. Il tanto criticato finale, in cui Cheyenne (dal look ispirato al cantante Robert Smith dei Cure, truccato e arruffato) si taglia i capelli e cresce, è meno banale di quanto sembri. Così come la tanto vituperata rivalsa che egli opera nei confronti del gerarca nazista (in una sequenza che mette i brividi) sembra più un atto di giustizia che uno di vendetta. Grandiosa fotografia di Luca Bigazzi, che abbinata al talento visivo di Sorrentino regala splendidi paesaggi onirici che più che luoghi fisici paiono luoghi mentali, insiti nell’anima del protagonista. Qualche sequenza è un po’ troppo eccessiva nel suo sfrenato simbolismo surreale (la sigaretta accesa all’aeroporto; l’indiano che si fa dare un passaggio, quest’ultima comunque molto emozionante) ma è innegabile che il film, oltre che essere molto divertente, è anche godibilissimo e interessante. Qua e là, oseremmo, addirittura poetico.

I dialoghi sul versante della commedia sono tutti strepitosi (alla moglie che gli chiede se sta cercando se stesso, Cheyenne risponde “sono in New Mexico, mica in India”), mentre risultano un po’ troppo confusi  e spiccioli alcuni del registro drammatico. Musiche bellissime di Will Oldham e David Byrne, cantante dei Talking Heads che appare in un cameo in una delle sequenze più anomale e riuscite del film. Più che una storia di vita, si tratta di una storia sulla volatilità del tempo, unica costante della vita di ognuno che non si può fermare e che, essendo appunto DELLA vita, diviene sua chiave di lettura e unico modo possibile per apprezzarla. Banale? Forse, ma di banalità made in Italy di questa fattura ce ne dovrebbero essere molte di più.

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5 risposte a This must be the place

  1. Eh sì, misà che proprio devo andarlo a vedere! Chi la dice cotta, chi la dice cruda, voglio capire da me di cosa si tratta! 🙂

  2. nehovistecose scrive:

    Vai vai che merita! 🙂 finezze italiane nel mondo!

  3. Watanabe scrive:

    “Il dibattito sull’autorialità del regista napoletano durerà ancora a lungo, ma guardando questa sua prima opera internazionale tutto si può dire, tranne che non ci si trovi davanti ad un bel film”

    A mio avviso il dibattito è proprio sulla qualità del film che divide in due la critica, non è così unanime il giudizio. Io mi schiero con i detrattori. Un film mediocre.

  4. nehovistecose scrive:

    Ognuno ha il suo pensiero. grazie per il commento!

  5. Io invece penso che sia un film meritevole. Magari fosse sempre così il cinema di oggi!

    P.S. L’ho visto alla fine, eh! 🙂

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