Honkytonk Man

(Honkytonk Man)

Regia di Clint Eastwood

con Clint Eastwood (Red Stovall), Kyle Eastwood (Whit), John McIntire (Il nonno), Alexa Kenin (Marlene), Verna Bloom (Emmy), Matt Clark (Virgil), Jerry Hardin (Smuffy), Barry Corbin (Arnspringer), Macon McCalman (Dr. Hines), Joe Regalbuto (Henry Axle).

PAESE: USA 1982
GENERE: Commedia, Drammatico
DURATA: 122′

Durante la grande depressione il cantante country malato di tisi Red Stovall parte alla volta del Grand Ole Opry di Nashville per registrare un disco. Lo accompagnano l’ammirato nipote di tredici anni e il nonno, che vuole rivedere le sue terre prima di morire.

Nono film di Eastwood, il primo in cui cerca di imporsi come autore a tutto tondo. Scritto da Clancy Carlile e tratto da un suo omonimo romanzo, è un road movie intimista e pacato che “viaggia sul filo rosso del sogno americano” (Paolo Mereghetti). Tre genereazioni (il nonno, Red, il giovane Whit) che attraversando gli Stati Uniti ripercorrono tre tappe di storia americana: il West, la grande depressione, il futuro. Il sogno americano (il nonno, ex pioniere, dice che “non era per la terra, era per il sogno”) si spegne con una crisi economica che è anche una crisi d’identità dell’uomo medio (incarnato dai genitori di Whit), incapace di fare i conti col proprio passato. Il West può rivivere soltanto – come leggenda – nella “mitizzazione spettacolarizzata” che ne fa un bambino mescolando il cinema coi racconti del nonno. Ma è anche una riflessione sul desiderio di autodistruzione dell’artista (un concetto ripreso nel successivo, bellissimo, Bird), ennesima rimarcazione di un sogno sempre più arduo da realizzare. Eastwood tratteggia con coraggiosa autoironia il suo ambiguo personaggio, e ne fa un suonatore maledetto che incarna luci e ombre della società USA; rievoca le atmosfere fordiane di Furore – fotografia sabbiosa di Bruce Surtees, scene di Gary Moreno – con insolito gusto del paesaggio e occhio impressionista, indugiando su locali fumosi, bordelli, bische clandestine. Grande spazio alla musica suonata – bellissima la versione eastwoodiana del pezzo che da il titolo al film – e ai momenti volutamente lirici. Eastwood centra gli obbiettivi prefissi e il risultato è un film anomalo, lento ma ritmato, divertente e malinconico. Il pubblico non ha ovviamente apprezzato il suo beniamino in veste non convenzionale (resta il suo film andato peggio al botteghino), ma almeno la critica si è accorta di un nuovo regista autore. Qualche passo è un po’ di maniera, ma al di là di tutto è un film divertente, ironico, godibile, ben ambientato e ben recitato. Più riuscito sul versante aneddotico che su quello narrativo, ma resta un bell’esempio di cinema personale, accorato, sincero. Non è poco, per uno che fino a dieci anni prima si pensava potesse fare solo film di pistole. Kyle Eastwood è il figlio del regista. Giunto da noi tre anni dopo l’uscita per lo scarso successo ottenuto in patria, è privo tutt’oggi di una versione italiana in dvd. Peccato, perché andrebbe riscoperto.

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