L’ultima missione

(MR 73)

Regia di Olivier Marchal

con Daniel Auteuil (Louis Schneider), Olivia Bonamy (Justine Maxence), Catherine Marcahl (Marie Angéli), Francis Renaud (Kovalski), Gérald Laroche (Matéo), Guy Lecluyse (Jumbo), Philippe Nahon (Charles Subra), Clément Michu (Emile Maxence).

PAESE: Francia 2008
GENERE: Noir
DURATA: 124′

Con una moglie in stato vegetativo in seguito ad un incidente stradale in cui è morta la figlia, l’alcolizzato poliziotto marsigliese Louis Schneider si mette sulle tracce di un serial killer facendo i conti con colleghi corrotti, sensi di colpa, fantasmi del passato. Justine è invece una giovane ragazza che attende impaziente l’uscita di prigione di uno psicopatico che gli ha sterminato la famiglia, arrestato dallo stesso Louis. I due sono destinati ad incontrarsi.

Stesso regista e stesso protagonista del bellissimo 36 – Quai des Orfèvres, ma l’azione si sposta da Parigi alla periferia marsigliese, “fatta di strade buie, bagnate di pioggia, cupe e sporche” (M. Morandini), esplicita metafora dell’oscurità degli animi umani. Con uno stile scattante che rifiuta ogni estetica post-moderna, l’ex poliziotto Marchal sta sul fiato sul collo dei suoi personaggi e, tramite le loro azioni, i loro sguardi, il loro modo di porsi verso il mondo e gli altri, ne sottolinea le personalità e ne esplora gli stati d’animo. Schneider è una sorta di cowboy fuori tempo massimo cui non è rimasto nulla se non la sua forte fibra morale: è l’ennesimo Travis Bickle di Taxi Driver, una sorta di anti-eroe solitario che contempla il sudiciume del mondo e ha il coraggio di fare un piccolo gesto per renderlo, almeno per qualcuno, un posto migliore. Tragico e disperato, dolente e spietato, ma non nichilista, nonostante il suo radicale pessimismo: alla fine un uomo muore, ma un bimbo sta nascendo. In mezzo c’è di tutto ma, in fondo, è il ciclo della vita. Ottime ambientazioni, dettagliate descrizioni ambientali, una regia fatta di piccole cose che rimanda ai migliori polar francesi (noir ispirati a fatti veri). Non è un film per tutti (alcune sequenze sono abbastanza crude), ma è sicuramente da non perdere per la sua sincerità, il suo eccesso controllato, il suo ribadire un qualcosa che sta scomparendo.

Senza retorica o facile commozione, la sceneggiatura si mostra precisa e dettagliata, nonché originale e lontana da qualsiasi sussulto di spettacolarità o inflessione modaiola. Una grandiosa fotografia (Denis Rouden) che alterna luci abbaglianti e profonde zone di buio completa la storia alla perfezione, e spesso vira verso il surreale o l’onirico per sottolineare, visivamente e concettualmente, spazi che sono più mentali che fisici. Straordinaria interpretazione di un Auteuil tabagista, trasandato e sotto le righe: ha trovato in Marchal uno dei registi che meglio sa sfruttare le sua abilità attoriali, fatte di realismi ineccepibili e movenze alla Lino Ventura. Il titolo originale si riferisce al codice identificativo di una pistola in dotazione alla polizia. Troppo senza speranza per poter sperare in un discreto successo di pubblico. Peccato, perché si tratta di qualcosa che va assolutamente visto. Non sarà originalissimo, e qualche volta tende a dividere tutto secondo la dicotomia “buono”/ “cattivo”, ma è un film tragicamente lirico, bellissimo e toccante, crudo e crudele.

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