Fahrenheit 9/11

(Fahrenheit 9/11)

Regia di Michael Moore

PAESE: USA 2004
GENERE: Documentario
DURATA: 112′

Quarto film di Michael Moore, cronista d’assalto dalla sagoma imponente e dalle idee sinistrorse. Il reportage parte dall’undici settembre, analizza i rapporti tra le famiglie dei Bush e dei Bin Laden, passa ad evidenziare le menzogne della politica e finisce, dopo una tappa in Iraq, a chiedere ai parlamentari se manderebbero i loro figli in guerra. Molta carne al fuoco, ma come aveva già mostrato in Bowling a Columbine Moore sa bene come sviluppare un discorso coerente, sa sfruttare alla perfezione il cinema come arma e attribuisce all’informazione il ruolo di salvatrice dell’umanità. Il suo è un film di propaganda al cento per cento – ma che non riuscì ad evitare, purtroppo, la rielezione di Bush -, ma anche la faziosità può avere un suo fascino, specie se basata su documenti reali: pur avendo già ben chiara in testa la teoria che uscirà dal suo discorso, Moore si basa sui fatti e sulle carte,  dipingendo un quadro agghiacciante che mostra come l’America sia un paese che si basa essenzialmente sulla paura dell’altro. Possiede alcuni difetti che non passano inosservati: alcuni argomenti sono troppo poco approfonditi (in che modo alcuni elettori non repubblicani sono stati cancellati dalle liste elettorali?); certi passi mettono in dubbio, più che la veridicità delle immagini, il metodo stesso usato dal regista (gli indugi sulla madre patriottica che piange il figlio con enfasi sono un po’ troppo da “televisione del dolore”); non sempre le teorie del regista sono condivisibili (Moore parla di vittime quando si riferisce ai soldati torturatori di Abu Grahib, e attribuisce anche i loro gesti folli e violenti alla scellerata politica del Presidente).

Detto questo, è difficile non apprezzare questo reportage d’informazione che mette a nudo l’America nelle sue contraddizioni: un grande esempio di cinema civile impegnato che, se da un lato impone il proprio messaggio allo spettatore, dall’altro lo sprona ad aprire gli occhi, a coltivare la propria coscienza, a guardare oltre i media canonici. Dopo un avvio di rara potenza simbolica – i visi dei politici che si truccano per le dirette seguiti da quelli degli americani scioccati, l’11 settembre 2001, come se si volesse evidenziare il contrasto politica/ vita, enfatizzato da una musica suggestiva ed evocativa – l’ingombrante reporter (che non nasconde mai la sua presenza dietro la macchina da presa) incentra il suo discorso su una pungente ironia che colpisce il segno e, cosa più importante, non ferisce mai in nessun modo la dignità delle persone. Molti rimproverano a Moore di mantenere sempre uno sguardo troppo “americano”, ma sono critiche piuttosto fatue: si pensi al fatto che il regista non nasconde mai il suo amor patrio, o all’obbiettività che propone nell’analizzare la propria nazione. Geniale il ritratto che fa di Bush, che finalmente si mostra al mondo per quello che è: un burattino idiota manovrato dalle lobby. Ottima scelta delle musiche. Palma d’oro a Cannes 2004, consegnata dalla giuria presieduta da Quentin Tarantino.

Non sempre lucido, ma coraggioso e accorato; sembra un’inchiesta del Washington Post dei tempi d’oro. Da vedere.

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