Quattro mosche di velluto grigio

Regia di Dario Argento

con Michael Brandon (Roberto Tobias), Mimsy Farmer (Nina Tobias), Jean-Pierre Marielle (Gianni Arosio), Bud Spencer (Diomede), Oreste Lionello (Il Professore), Stefano Satta Flores (Andrea, il medico), Marisa Fabbri (Amelia, la domestica), Francine Racette (Dalia), Laura Troschel (Maria Pia), Calisto Calisti (Carlo Marosi), Fabrizio Moroni (Mirko), Aldo Bufi Landi (medico).

PAESE: Italia 1971
GENERE: Thriller
DURATA: 97 Min.

Il batterista rock Roberto, convinto di aver ucciso per sbaglio un uomo che lo pedinava, inizia ad essere perseguitato da un maniaco che sembra conoscere ogni dettaglio dell’avvenuto. Inizierà ad indagare con l’aiuto di alcuni amici, senza accorgersi che la soluzione del caso è più vicina di quanto possa pensare…

Terzo capitolo della trilogia degli animali argentiana, dopo l’ottimo L’uccello dalle piume di cristallo e il discreto Il gatto a nove code. Argento scrive con Luigi Cozzi e Mario Foglietti, e il risultato è un giallo thriller – con qualche spruzzata erotica – molto simile ai primi due ma decisamente inferiore ad entrambi. Il senso della suspense non manca, ma la trama è meccanica e ripetitiva, e il regista gira con cura soltanto le scene degli omicidi: tutto il resto sembra buttato lì a casaccio per allungare il brodo tra un delitto e l’altro. L’inverosimiglianza della trama e le turpi quanto errate spiegazioni (pseudo) scientifiche (qui si tira in ballo la leggenda metropolitana secondo cui, sulla retina di chi muore, rimane impressa l’ultima immagine vista) raggiungono picchi quasi demenziali, e nemmeno qualche buon virtuosismo riesce a risollevare le sorti di un film che pare un po’ troppo girato in fretta e furia. Famosa la decapitazione finale, al ralenti – in cui Argento utilizzò una macchina da presa sperimentale che catturava (pare) 18 mila fotogrammi al secondo – ma anche questa sembra più che altro un esercizio di stile fine a sé stesso. Divertenti i personaggi di Bud Spencer e Lionello, ma sono macchiette, e finiscono per accentuare l’incoerenza di un film che non sa decidere dove andare. Musiche goffe di Morricone. Lo spavento, comunque, è assicurato. Primo film di Argento con qualche inflessione nel paranormale.

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