Il monello

(The Kid)

Regia di Charlie Chaplin

con Charlie Chaplin (il vagabondo), Jackie Coogan (il monello), Edna Purviance (La ragazza madre), Henry Bergman (guardiano del dormitorio), Tom Wilson (il poliziotto), May Withe (sua moglie), Jack Coogan Sr. (ladro al dormitorio, diavolo), Raymond Lee (il bambino del litigio), Charles Riesner (il bullo), Lilita MacMurray (l’angioletto tentatore), Edith Wilson (la donna con la carrozzella), Jules Hanft (il medico condotto).

PAESE: USA 1921
GENERE: Commedia
DURATA: 60′ (53′)

Ragazza madre abbandona il figlioletto perché incapace di mantenerlo. Lo raccoglie un vagabondo che gli insegna l’arte dell’arrangiarsi. Quando il piccolino si ammala, il medico condotto chiama i servizi sociali e cerca di portarlo via al povero Charlot…

Primo lungometraggio di Chaplin dopo più di cento corti, fortemente autobiografico nel rievocare la sua infanzia britannica immersa nella povertà, ma risente anche del lutto profondo che lo colpì poco prima di iniziare le riprese: il figlio Norman, nato deforme, morì ad appena tre giorni dal parto. Chaplin si mostra perfettamente a suo agio coi tempi lunghi, e alla carica sovversiva e anarcoide delle sue comiche brevi mescola, con grande abilità, gli elementi tipici del melodramma, firmando il suo primo, grande capolavoro in bilico tra comico e patetico (inteso nella sua accezione originale, positiva). Si scorgono già molti temi del suo cinema: la solitudine dell’individuo, dettata da una società classista in cui pochi hanno tutto e tanti non hanno niente; la feroce critica anti- borghese e anti- autoritaria, che si prefigura nella cattiveria operata sempre da poliziotti e burocrati; la sensibilità e la tenerezza come unico antidoto ai mali del mondo. Chaplin attore crea il proprio personaggio immortale, irriverente, anarchico ma puro di cuore; Chaplin regista, che non dimentica le lezioni dell’amico Griffith, ma va al di là, opta per un’innovativa profondità di campo, grazie alla quale inserisce suggestivi (ed irresistibili) dinamismi interni all’inquadratura senza bisogno di stacchi; sceglie un montaggio classico che sa diventare “connotativo” (e qui, forse, si sente la lezione di Ejzenstein): si pensi alla sequenza in cui il monello viene trasportato all’orfanotrofio, in cui tra lui e il vagabondo avviene un campo/ contro campo impossibile a livello spaziale (si trovano in luoghi diversi, uno sul furgone, uno nell’appartamento), ma assolutamente evocativo e realistico a livello emozionale.

Così come è assolutamente innovativa la tanto criticata (all’epoca) scena del sogno, in cui Charlot si immagina un mondo di angeli in cui un diavoletto scombussola le cose: un connubio perfetto tra effetti speciali artigianali alla Méliès e spirito favolistico- fiabesco. Il tenero Jackie Coogan (che all’epoca aveva quattro anni), sorta di Charlot in miniatura, dimostra una mimica eccezionale che è l’emblema della dolcezza. Poetico, realistico, lirico, commovente, divertente. Prima che inizi il film, una scritta avverte che il film farà ridere e, talvolta, piangere: oggi sembrerà anche banale, ma mai nessuno nel mondo del cinema è stato così abile con entrambe le cose. L’angioletto tentatore – ironia della sorte – è Lilita McMurray (nota poi come Lita Grey), dodicenne che quattro anni dopo divenne la seconda moglie del regista. Nel 1971 – per il cinquantennale – Chaplin rieditò il film togliendo 6’ di scene con la ragazza madre e aggiungendo un commento musicale di sua stessa composizione? Forse oggi appare un pò datato, ma fa ridere e commuovere orde di spettatori da almeno novanta anni.

Basterebbe questo per capire che si tratta di un film enorme.

Voto

 

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