Il mondo dei replicanti

(Surrogates)

Regia di Jonathan Mostow

con Bruce Willis (Agente Tom Greer), Radha Mitchell (Agente Jennifer Peters), Rosamund Pike (Maggie Greer), Boris Kodjoe (Andrew “Andy” Stone), James Cromwell (Dottor Lionel Canter), James Francis Ginty (surrogato di Canter), Ving Rhames (il profeta), Jack Noseworthy (Miles Strickland), Devin Ratray (Bobby Sounders), Michael Cudlitz (Colonnello Brendon).

PAESE: USA 2009
GENERE: Fantascienza
DURATA: 104′

In un futuro abbastanza prossimo circolano i “surrogati”, esseri meccanico- sintetici controllati a distanza da umani pigri (il 98%) che non escono più di casa. Un agente federale, rimasto senza il proprio surrogato, è costretto ad andare in giro in prima persona per fermare un assassino che possiede un’arma in grado di uccidere gli uomini distruggendone i surrogati…

Tratto da una miniserie omonima a fumetti scritta da Robert Venditti e disegnata da Brett Weldele e prodotto dalla Walt Disney Pictures, è un rozzo ma affascinante prodotto fantascientifico che si regge soprattutto sulle spalle del roccioso Willis. Più che a Blade Runner – con cui condivide solo la parola “replicante” nel titolo italiano – si ispira alla fantascienza “morale” di Jack Arnold, Richard Fleischer e John Carpenter: vuole essere un apologo sulla spersonalizzazione, sull’accidia, o forse sulla stupidità di un’umanità a cui piace vivere per interposta persona perché è più “sicuro” (chi non è iscritto su Facebook? Stesso concetto, anche se più leggero). E infatti i surrogati sono tutti belli, forti, simpatici, intelligenti ma, insindacabilmente e tristemente, fasulli. Il gioco, dunque, vale la candela? Mostow – con gli sceneggiatori Michael Ferris e John D. Brancato – risponde di no: evviva gli umani, brutti, scemi, ma “veri”. Gli si può criticare la banalità del messaggio, ma non il suo schierarsi senza ambiguità. Il vero problema del film è la regia manierista di Mostow, mai visionaria, sempre già vista, poco immaginifica nonostante l’originale materia. Anche se qualche intuizione non è male, come la droga “elettrica” per surrogati o la scelta degli umani di utilizzare sempre corpi più belli di loro. La sceneggiatura, comunque, fa acqua, e talvolta è ridondante, meccanico, scontato, troppo convenzionale nelle scene in cui l’azione prende il sopravvento sulla storia. Ma ha ritmo, e non ci si annoia mai. C’è chi lo definisce una brutta copia di Io, Robot con Will Smith: secondo noi è migliore. Nonostante il richiamo a Blade Runner del titolo italiano, al botteghino è andato maluccio. Peccato. Non sarà ricordato per le immagini suggestive che non possiede (a parte una, non malvagia, nel finale, in cui tutti i surrogati si fermano), ma il suo messaggio non verrà dimenticato: anzi, quando anche il fenomeno della realtà virtuale sarà “storicizzato”, sarà una preziosa fonte storica per i nostri nipoti. O per i loro surrogati.

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