Cos’è il “piano sequenza”?

Secondo il glossario sulle tecniche cinematografiche coniato da Giaime Alonge e Silvio Alovisio[1] il piano sequenza è un’inquadratura così lunga da svolgere il ruolo di un’intera scena. È una tecnica che rifiuta la “frammentazione” del montaggio, in quanto si articola su una ripresa che non possiede “stacchi”. Immaginiamo di dover riprendere una sequenza basata essenzialmente su un dialogo tra due attori: se sceglierò di utilizzare il montaggio, dovrò effettuare diverse riprese (il primo interlocutore, il secondo interlocutore, magari accompagnati da piani d’insieme in cui vediamo entrambi); se opterò per girare con un solo piano sequenza, la ripresa sarà unica, o fissa (probabilmente in un piano d’insieme in cui si scorgono entrambi gli interlocutori) oppure mobile (e saranno i movimenti di macchina a “scegliere” chi o cosa inquadrare).

È importante distinguere il piano sequenza dal long take, una ripresa senza stacchi – magari anche piuttosto lunga – che non contiene in essa una sequenza intera, in grado di auto concludersi senza stacchi.

I primi “film”, come il famosissimo L’uscita dalle officine Lumière (La sortie de l’usine Lumière, 1895) degli omonimi fratelli, erano tutti costruiti su un unico piano sequenza, in quanto il montaggio non era ancora stato teorizzato da pionieri come Edwin S. Porter prima e David Wark Griffith poi, che furono i primi ad utilizzare abilmente i primi piani, le soggettive, le carrellate. Proseguendo lungo i binari della storia del cinema ci si accorge che il piano sequenza viene presto lasciato in disparte in favore del montaggio. I suoi utilizzi diventano sempre più infrequenti, e sono rari i casi in cui esso viene ancora scelto per rappresentare una sequenza. Tra gli esempi di film girati interamente in piano sequenza – scommessa piuttosto ardua: se si sbaglia si deve rifare tutto – figurano Nodo alla gola (Rope, 1948) di Alfred Hitchcock (in realtà composta da dieci piani sequenza “incollati” impercettibilmente), Elettra amore mio (Szerelmem, Elektra, 1974) di Miklós Jancsó, Arca russa (Russkij Kovčeg, 2002) di Aleksandr Sokurov, Piano sequenza (2005) di Louis Nero, Valzer (2007) di Salvatore Maira, La casa muda (id. , 2010) di Gustavo Hernández.

Alcuni registi hanno scelto di agire in questo modo per garantire la visione “in tempo reale” dell’intero film (tempo del film uguale al tempo della storia), altri per sperimentare virtuosismi spesso fini a sé stessi. Senza arrivare a questi esempi così “eccessivi”, sono molti i film che utilizzano il piano- sequenza come forma d’arte: si pensi all’uso che ne fa Orson Welles in Quarto Potere (Citizen Kane, 1940) o L’infernale Quinlan (Touch of evil, 1958) o a quello che ne fa John Carpenter nel suo Halloween (id. 1978). Molti registi invece hanno utilizzato il long take: tra loro Jean-Luc Godard, Martin Scorsese, Quentin Tarantino, Clint Eastwood, ma anche il nostro Federico Fellini; ne fecero largo uso anche i registi neorealisti (come Vittorio De Sica e Luchino Visconti), in quanto il pedinamento del “vero” non poteva prescindere dall’illusione di una realtà che si crea sotto gli occhi dello spettatore, senza stacchi a “spezzarla”.

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André Bazin, grande critico francese, fu appassionato sostenitore di questa tecnica in quanto, secondo lui, è una “tecnica di ripresa intrinsecamente realista perché rispetta la durata della realtà”.


[1] Pubblicato su Introduzione alla storia del cinema, Paolo Bertetto (a cura di), Utet Libreria, Torino 2002.

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3 risposte a Cos’è il “piano sequenza”?

  1. cinefobie scrive:

    Silvio Alovisio è il mio relatore !
    gran persona, davvero.

    Anyway bell’articolo, è sempre utile diffondere un po’ di sapere tecnico cinematografico, bravo! 😉

    Ah, comunque per me in tema di piani sequenza, Sokurov vince.

  2. nehovistecose scrive:

    Ma dai? grandissimo! Si Sokurov vince tra i film interamente in pianos., ma Welles con quello spettacolare intro in Quinlan…apoetosi! thanks for the comment! 🙂

  3. Pingback: Quarto Potere | Ne ho viste cose…

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