Misery non deve morire

(Misery)

Regia di Rob Reiner

con James Caan (Paul Sheldon), Kathy Bates (Annie Wilkes), Richard Farnsworth (Buster), Frances Sternhagen (Virginia), Lauren Bacall (Marcia Sindell), Graham Jarvis (Libby), Jerry Potter (Pete), Wandy Bowers (cameriera).

PAESE: USA 1990
GENERE: Thriller
DURATA: 107’

In seguito ad un incidente automobilistico, lo scrittore Paul Sheldon finisce nelle mani di un’infermiera psicopatica che ha letto tutti i suoi libri e ha sempre sognato di incontrarlo. Scoperto che Misery, la protagonista dei romanzi, è destinata a morire, la donna lo obbliga – con sevizie e torture – a riscrivere il finale in modo che le piaccia.

Tratto da un grande romanzo di Stephen King, adattato da William Goldman, il sesto film di Reiner è uno riuscito thriller d’atmosfera basato su un’infallibile suspense. Perfettamente a suo agio con una storia che da lui non ci si aspetta (come non ci si aspettava la sua scelta di girare un film così “cattivo”), il regista centra il bersaglio e firma un piccolo capolavoro del genere, uno dei film migliori tratti dalla narrativa del re del brivido. In molti l’hanno snobbato come un semplice film di attori: in effetti Caan è molto bravo, e la Bates – premiata (giustamente) con l’Oscar – non esita a rubargli la scena con la sua lucida follia. Ma le scelte registiche dimostrano che c’è del talento anche dietro la macchina da presa: Reiner riesce a costruire una suspense palpabile, claustrofobica, sfruttando con abilità le quattro mura della “legnosa” ed isolata casetta di Annie; è molto bravo ad evitare gli stereotipi hollywoodiani e ad inscenare una violenza secca, realistica e senza orpelli, capace di turbare nervi e animo dello spettatore. Senza dimenticare che riesce (cosa difficilissima) a portare in immagini un mestiere come la scrittura, che di certo non è propenso alla trasposizione cinematografica. Lascia un inquietante dubbio: il romanzo scritto sotto le minacce della carceriera è davvero il migliore di Paul? Se è così, la riflessione che ne esce è quantomeno inquietante. Ma è anche una riuscita metafora del rapporto tra scrittore e lettore: il secondo diventa anche critico, riuscendo a plasmare lo status demiurgico del primo, abituato a decidere il destino dei propri personaggi. Terribile, ma nel finale (da antologia) c’è spazio per un po’ di ironia. Gli intelligenti aspetti “politici” del romanzo appaiono edulcorati secondo le leggi di mercato, ma resta un thriller da manuale. Il personaggio di Annie è stato inserito al 17° posto della classifica dei migliori cattivi cinematografici di sempre, battendo lo squalo del film omonimo (18°), Jack Torrance di Shining (25°) e Freddy Kruger (39°).  Fotografia del futuro regista Barry Sonnenfeld.

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