Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto

Regia di Elio Petri

con Gian Maria Volonté (il dirigente di Polizia), Florinda Bolkan (Augusta Terzi), Gianni Santuccio (Il questore), Salvo Randone (l’idraulico), Orazio Orlando (Brigadiere Biglia), Arturo Dominici (dottor Mangani), Aldo Rendine (dottor Panunzio), Sergio Tramonti (Antonio Pace, l’anarchico), Vittorio Duse (Canes), Fulvio Grimaldi (Patanè).

PAESE: Italia 1970
GENERE: Grottesco
DURATA: 112’

Il giorno in cui viene promosso dalla squadra omicidi all’ufficio politico, un dirigente di Polizia uccide durante un gioco erotico l’amante e semina volutamente indizi e prove a suo carico con l’intento di dimostrare che, in quanto rappresentante del potere, non può essere perseguito. Uscito pulito dalle indagini, si autoaccusa. Invano.

Secondo atto – dopo A ciascuno il suo – della collaborazione tra Petri e lo sceneggiatore Ugo Pirro, è un apologo grottesco e allucinato (e allucinante) sul potere: la polizia è lo strumento di cui si serve il potere per direzionare lo stato verso un nuovo governo fascista. Racconta le aberrazioni di una classe dirigente che sembra auto erotizzarsi attuando la repressione (una delle scene più famose è quella in cui il protagonista – rigorosamente senza nome – tiene un comizio basato sul leitmotif “repressione è civiltà”), ma anche l’incapacità dei movimenti rivoluzionari di essere concreti (il giovane anarchico potrebbe incastrare il protagonista ma non lo fa perché gli fa comodo pensare che tutti i poliziotti corrotti restino impuniti). Echi di Borges (nell’invenzione dell’intreccio) e Sciascia (nella descrizione di una becera classe dirigente meridionale), ma l’influenza più forte è sicuramente quella di Kafka, e non soltanto per la citazione finale tratta da Il processo, ma perché di Kafka propone “l’inafferrabilità, l’indefinibilità, l’arbitrarietà indiscutibile del signore del Castello o del giudice del Processo, del potere irraggiungibile o inappellabile” (L. Micciché). Senza contare che, come nelle opere dello scrittore boemo, i personaggi, gli edifici, le metropoli non possiedono alcun nome accentuando l’atmosfera grottesca ma anche l’universalità della parabola.

Straordinario Volonté, in uno dei ruoli più riusciti e sgradevoli della sua carriera. Non c’è un personaggio positivo, non c’è nessuno in cui ci si possa identificare, e dunque manca il concetto di redenzione. Cosa succederà al dirigente? Verrà davvero indotto a “non confessare” per evitare che il potere perda credibilità nei confronti dei cittadini/sudditi (come suggerisce la geniale sequenza della premonizione che ha l’omicida nel finale)? Partorito in pieno clima di contestazione, il film venne osteggiato da molti (anche perché il giornale di Lotta continua invitò a leggere il personaggio del dirigente come un alter ego del commissario Calabresi). Contributi tecnici ineccepibili: montaggio di Ruggero Mastroianni, musiche di Ennio Morricone (entrate nella storia, forse anche perché sono tra le più “funzionali” della sua carriera), scenografie di Carlo Egidi e fotografia di Luigi Kuvellier. La parte centrale vede un leggero calo di ritmo, ma il finale torna a volare alto. Oscar per il miglior film straniero.

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