La rosa purpurea del Cairo

(The Purple Rose of Cairo)

Regia di Woody Allen

con Mia Farrow (Cecilia), Jeff Daniels (Tom Baxter/ Gil Shepherd), Danny Aiello (Monk), Irving Metzman (direttore del cinema), Stephanie Farrow (sorella di Cecilia), David Kieserman (padrone della caffetteria), Edward Herrmann (Henry), John Wood (Jason), Deborah Rush (Rita), Van Johnson (Larry), Zoe Caldwell (la contessa), Eugene J. Anthony (Arturo), Karen Akers (Kitty Haynes), Annie Joe Edwards (Delilah), Dianne Wiest (Emma).

PAESE: USA 1985
GENERE: Commedia
DURATA: 82’

Nel New Jersey della Grande Depressione la cameriera Cecilia, sposata ad un fannullone fedifrago e ignorante, passa le sue serate al cinema sognando una vita migliore. Una sera come tante altre Tom Baxter, il coraggioso eroe del film La rosa purpurea del Cairo, esce dallo schermo e scappa con la donna. Da Hollywood arrivano produttori, registi, e l’attore Gil Shepherd, che interpreta Baxter nel film: devono convincere l’avventuroso a tornare nella pellicola, o per loro sarà un danno irreparabile…

Secondo film di Allen, dopo il filo bergmaniano Interiors, in cui il regista- sceneggiatore non compare come attore. Uno straordinario omaggio alla settima arte la cui importanza va considerata al pari di Viale del tramonto (1950) di Billy Wilder. Allen filma la storia d’amore impossibile tra una donna e un eroe in celluloide paragonando la poetica malinconia del cinema (arte “effimera” per eccellenza, in quanto i personaggi dello schermo non sono che illusioni) alla malinconia quasi tragica della vita, cui non resta che rifugiarsi nelle storie d’amore dei divi di Hollywood per tentare di ribadire il “diritto di sognare”. Quello di Allen è uno spassionato ed intelligente  tributo alla magia del cinema, un delicato revival degli albori della celluloide in cui il film era ancora un mezzo per fuggire dalla realtà. Una realtà che, suggerisce il regista, aspetta fuori dalla porta per colpire e far male: ma, finché si è dentro quella stanza buia, nulla può scalfire, perché si sta affrontando un’esperienza coinvolgente che cancella il male di vivere. Divertente sul registro della commedia, delizioso e squisitamente malinconico su quello romantico, il film suscita ben più di un’emozione. Lo fa con arguzia evitando il patetico, le sottolineature, i facili simbolismi, e divenendo una sorta di poema concettuale che non ha paura di sottolineare le ombre dell’arte di cui parla.

È importante sottolineare l’ambientazione temporale del film: nell’America della Grande Depressione (calderone ideale anche per la satira sociale che Allen non risparmia mai) il film era un oggetto effimero al cento per cento, in quanto ancora non si ipotizzava l’avvento della televisione – ne tantomeno dell’homevideo – e ogni passaggio al cinema  diventava un’esperienza unica, che se ne andava in fretta come era arrivata; proprio come il personaggio di Baxter, destinato a tornare nel suo mondo “di passaggio”. La regia di Allen è originale e perfetta: sfrutta in modo funzionale piano sequenza e profondità di campo, e diventa mimetica quando rievoca con precisione lo stile dei film in bianco nero degli anni ’30. Grande fotografia di Gordon Willis e musiche magnifiche di Dick Hyman e montaggio funzionale di Susan E. Morse. Tutti gli attori in parte, specialmente una dolcissima Mia Farrow e un sornione Daniels, attore sottovalutato capace di stupire. Un film semplice, lineare, capace tuttavia di instillare una serie di riflessioni rare nel panorama cinematografico americano. Una gioia per il cuore e per gli occhi, un capolavoro immortale.

 

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