Titanic su Mediaset: quando il film diventa pubblicità.

Ieri sera su Canale 5 – apparentemente per ricordare il centenario della tragedia, in realtà perché l’audience è garantita quando si parla di catastrofi – è stato trasmesso il celeberrimo Titanic di James Cameron. Come scrissi nella recensione non credo che si tratti di un capolavoro, ma certamente lo ritengo un bel film. E allora ieri sera, verso le undici, rientro e scovo la mia famiglia intenta ad osservare gli ultimi minuti prima dell’iceberg. Che, immancabilmente, verso le undici e un quarto sbatte contro la nave più grande del mondo e ne decreta l’affondamento. L’ho già visto decine di volte, eppure non riesco a togliere lo sguardo: significa che il film, con tutti i suoi difetti, sa prendere il pubblico ed emozionarlo. Mi avventuro tra le lamiere contorte e i pianti delle madri, resto sulle spine quando la cella in cui è rinchiuso Jack inizia a riempirsi d’acqua, attendo paziente che Rose riesca a liberarlo con un velleitario colpo d’ascia… e poi, d’un tratto, volume altissimo e immagini di un detersivo. Pubblicità. Mi accorgo che ero talmente preso dal film da non essermi ricordato che, immancabilmente, la pubblicità sarebbe arrivata. Poco male, tre minuti e si riprende con la pellicola. Di minuti ne passano cinque, forse sei (tra le pubblicità altri film con Di Caprio e un costruisci il Titanic con 12mila uscite settimanali da 8 euro e 99 l’una), ma il film ricomincia. Credo che siano passati circa venti minuti, quando di nuovo la fotografia – premiata con l’Oscar – di Russell Carpenter lascia il posto ad immagini televisive di nessun interesse poetico: e di nuovo, arriva la pubblicità. Inizio a stizzirmi: il pezzo più bello del film è l’affondamento, anche e soprattutto perché è costruito quasi in tempo reale e si basa unicamente sulla costruzione della suspense. Che, per forza di cose, si interrompe ad ogni taglio pubblicitario. Non mi dilungo oltre sulla descrizione della mia serata, ma posso affermare che a fine film sono esausto.

La pubblicità è arrivata per 4 volte da quando l’iceberg ha impattato il Titanic. Quattro volte: e quando è durata poco, è durata 300 secondi, ovvero cinque minuti. L’ora in cui il film finisce è l’una di notte: l’affondamento era iniziato alle undici e un quarto, e io so che esso dura poco più di un’ora. Quindi, un’ora e 45 meno dieci minuti di cornice finale (in cui l’anziana Rose ricorda) e 60 minuti di film da per risultato circa trenta minuti. Circa. Di pubblicità? Magari sono venti, magari venticinque, ma non è questo il punto. Ieri sera un bel film è diventato soltanto un mezzo per fare soldi. Ma non per fare soldi SU di esso (com’è anche giusto, sia beninteso), quanto per farli ATTORNO ad esso. Non importa se il pubblico ha dovuto patire per tenere il filo nonostante le interruzioni, non importa se quello che voleva fare Cameron (creare suspense) è stato buttato nel water (o, meglio, nel gorgo gelido del Titanic): ciò che contava era bombardare di pubblicità un pubblico che, nonostante tutto, avrebbe guardato fino alla fine. Ma c’è poco da stupirsi: qualunque tragedia, anche se accaduta cent’anni fa, non smette di fare notizia, e ci si deve lucrare sopra nel maggior modo possibile. Operazione riuscita. Film ucciso, ma che importa? I risultati saranno arrivati sicuramente. Ma chi, in tutto il mondo, criticò Cameron per aver fatto spettacolo su una tragedia immane (tesi secondo noi non vera, ma da molti sostenuta), come si porrà ora che quello struggente racconto non è divenuto altro che “uno spazio acchiappa spettatori da inserire tra un pubblicità e l’altra”? Televisione – con pubblicità – batte cinema uno a zero. Ahinoi.

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