Ghost Dog – Il codice del samurai

(Ghost Dog: The Way of the Samurai)

Regia di Jim Jarmusch

con Forest Whitaker (Ghost Dog), John Tormey (Louis), Isaach De Bankolé (Raymond), Cliff Gorman (Sonny Valerio), Henry Silva (Ray Vargo), Tricia Vessey (Louise Vargo), Victor Argo (Vinny), Vinny Vella (Sammy il serpente), Joe Rigano (Joe Rags), Camille Winbush (Pearline), Gene Ruffini (vecchio consigliere), Richard Portnow (Frank il bello), Damon Whitaker (Ghost Dog ragazzo).

PAESE: USA 1999
GENERE: Gangster
DURATA: 116’

In una città imprecisata vive il nero Ghost Dog, sicario silenzioso che alleva piccioni e uccide per riconoscenza verso un piccolo gangster italiano che gli salvò la vita. Quando il suo padrone decide di eliminarlo per uno sfizio dei capi, Ghost Dog – che tiene per Bibbia l’Hagakure, antico libro giapponese dei Samurai – va in crisi perché sa che le regole non gli permettono di eliminare il proprio signore…

Ottavo lungometraggio di Jarmusch, cineasta americano indipendente che produce, scrive e dirige i suoi film in totale libertà creativa. Come già fatto col western in Dead Man (1995), prende di petto un genere – il gangster – e lo rilegge secondo la propria personale visione del mondo. Ne esce un film anomalo e affascinante, più vicino al Melville di Frank Costello Faccia d’Angelo (prontamente citato, e non solo nel finale) che allo Scorsese di Quei bravi ragazzi, capace di raccontare con tenerezza e ironia un mondo inumano che sembra aver perso il senso delle cose. La mitologia del Samurai viene smontata e ricostruita affrontando trasversalmente il genere, e lo strepitoso finale rivela una malinconica poesia che nei film americani non si vede più da molto tempo. Jarmusch, più che sulla violenza, punta sui tempi morti, sui particolari; dilata i tempi per poterli contemplare, esaspera alcuni personaggi per poterli giudicare meglio, per mostrarli (come i mafiosi, capitanati da un rinato Silva) in tutta la loro becera e bulimica sete di potere. Geniale l’idea di mostrarli sempre mentre guardano cartoni animati che contrappuntano con sagace umorismo le loro “ridicole” azioni di sangue. Un film pessimista? Certo, ma di un pessimismo intelligente e dosato che non disdegna, alla fine, una piccola apertura verso una speranza che può essere soltanto “generazionale”.

Il regista adatta i passi dell’Hagakure e li inserisce nel racconto in modo non banale, riuscendo a raccontare quanto l’onore tipico dei Samurai sia un qualcosa di oramai anacronistico e destinato a scontrarsi con la mancanza di valori della società odierna. Ma sono interessanti anche gli spunti politici (l’America – nota Morandini – viene vista come un paese di minoranze e tribù destinate a scomparire), quelli razziali (gli italoamericani insultano neri e portoricani, senza accorgersi che nemmeno loro sono autoctoni), e – perché no? – quelli filosofici: l’unico amico di Ghost Dog è un gelataio francese che non parla inglese; i due non si comprendono mai, ma sono in perfetta sintonia perché dicono sempre la stessa cosa. Reparti tecnici ineccepibili: oltre che al meraviglioso ed azzeccato cast, un plauso va alla fotografia onirico- poetica del solito Robby Müller e alle musiche rap di RZA, leader del Wu-Tang Clan. Qualche passo un po’ meno riuscito c’è (ad esempio l’incontro coi cacciatori), ma resta un film imperdibile, divertente, commovente, tremendamente affascinante. Alzi la mano chi non si è emozionato nell’ultima scena, in cui il Samurai ferito va verso il suo padrone reo di averlo disconosciuto. Il fratello di Whitaker, Damon, interpreta il protagonista da giovane nei flashback. Un film da non perdere, per nessuna ragione.

Condividi su
Questa voce è stata pubblicata in 1971 - 2000, Genere Gangster e contrassegnata con , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *