Don Camillo¹

Regia di Julien Duvivier

con Fernandel [Fernand Contandin] (Don Camillo), Gino Cervi (Giuseppe “Peppone” Bottazzi), Vera Talchi (Gina Filotti), Franco Interlenghi (Mariolino “della Bruciata”), Saro Urzì (Brusco), Charles Vissière (Il vescovo), Leda Gloria (Signora Bottazzi), Mario Siletti (Avvocato Spiletti), Marco Tulli (Lo smilzo), Sylvie [Louise Sylvain] (Signora Cristina), Giorgio Albertazzi (Don Pietro), Olga Solbelli (la madre di Gina), Giovanni Onorato (Scartazzini), Armando Migliari (Rosco “della Bruciata”).

PAESE: Italia, Francia 1952
GENERE: Commedia
DURATA: 103’ (107’)

Nel 1946, in un paesino della bassa emiliana, si scontrano – non soltanto a parole – il parroco Don Camillo e il sindaco comunista Peppone. Litigano praticamente su tutto, ma alla fine della fiera per entrambi conta solo una cosa: il bene della comunità.

Scritto dal regista con René Barjavel, prendendo spunto da una serie di racconti di Giovannino Guareschi scritti nella seconda metà degli anni ‘40, è il primo film di una lunga serie (sette, anche se soltanto cinque interpretati dalla coppia Fernandel- Cervi) che divenne fenomeno di costume e seppe incontrare un enorme successo di pubblico negli anni ’50 e ’60. Sullo sfondo della campagna rurale del dopoguerra si scontrano due mondi diversi – il filo cattolicesimo modello DC e il comunismo filosovietico – che sembrano inconciliabili. Sembrano, perché in realtà il prete d’assalto e il sindacone baffuto sono talmente lontani da Roma e da Mosca che, alla fine, a trionfare è sempre il buon senso, e mai gli “ordini di scuderia”. Al di la di un certo qualunquismo abbastanza esplicito (alla fine sono tutti buoni e giusti), il film si fa apprezzare per come racconta quelle piccole realtà locali in cui, in barba al colore d’appartenenza, c’era soltanto brava gente che si faceva in quattro per gli altri. Visione ridotta e provinciale del mondo? Forse, ma chiunque è cresciuto in campagna negli anni ’50 e ‘60 sa che le storie raccontate da Guareschi non erano poi così lontane dalla realtà: in molti piccoli paesi c’erano un Don Camillo e un Peppone, pronti a scannarsi su tutto ma altrettanto preparati a mettere da parte gli screzi per aiutare la popolazione, ancora in ginocchio dopo le follie della guerra. Molti critici, specialmente a sinistra, lo considerarono un film “pericoloso”, sia perchè Guareschi era un monarchico convinto, sia perché i comunisti erano il fulcro dell’azione caricaturale degli sceneggiatori; in realtà il film, pur semplificando moltissimo i nodi “caldi” della questione, cercava di stemperare il clima da guerra fredda che colpiva tutti, dal cittadino colto che leggeva il giornale ogni giorno al contadino ignorante che si schierava per sentito dire. Nonostante qualche sequenza di felice impatto visivo (come quella della processione solitaria di Don Camillo), la regia di Duvivier non possiede uno stile vero e proprio, cosa che rende il film un film d’attori, guidato da una strepitosa coppia di protagonisti e popolato di caratteristi con la faccia giusta. Nella lunga lista di screzi tra Peppone e Don Camillo non ce n’è uno che sia umanamente verosimile, e le gag non sempre sono cucite in modo ineccepibile nell’ordito della trama (senza dimenticare che alcuni espedienti narrativi si ripetono: si vedano la sequenza della processione e quella della partenza finale del parroco). Ma, innegabilmente, si ride, molto e sano. Impagabile la sequenza della partita di pallone tra la Gagliarda di Don Camillo e la Dinamo di Peppone. La voce del parroco è di Carlo Romano, quella del narratore di Emilio Cigoli (Orson Welles nella versione anglofona) e quella del Cristo, cui Don Camillo chiede spesso consiglio, è di Ruggero Ruggeri. Prodotto da Cineriz (la casa produttrice della Rizzoli). Immortale il leitmotiv musicale composto da Alessandro Cicognini, discreta la fotografia in bianco e nero di Nicolas Hayer. Esterni girati tra Brescello e Boretto, entrambi in provincia di Reggio Emilia. La versione francese è più lunga di 4’. Seguito da Il ritorno di Don Camillo (1953).

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