Il ritorno di Don Camillo

Regia di Julien Duvivier

con Fernandel [Fernand Contandin] (Don Camillo), Gino Cervi (Giuseppe “Peppone” Bottazzi), Edouard Delmont (Dottor Spiletti), Paolo Stoppa (Marchetti), Alexandre Rignault (Francesco Gallini detto Nero), Thomy Bourdelle (Cagnola), Tony Jacquot (Don Pietro), Saro Urzì (Brusco), Charles Vissière (Il vescovo), Leda Gloria (Signora Bottazzi), Arturo Bragaglia (in cantoniere), Marco Tulli (Lo smilzo), Claudy Chapeland (Beppo Bottazzi), Pina Gallini (la perpetua di Montenara).

PAESE: Italia, Francia 1953
GENERE: Commedia
DURATA: 110’

Spedito in un villaggio deserto di montagna per punizione, il parroco da battaglia Don Camillo sente la mancanza dei fedeli lasciati in pianura. E anche Peppone, pur non ammettendolo, è triste senza il suo acerrimo nemico/ amico. Torneranno insieme per salvare la popolazione da una tremenda alluvione…

Uscito appena un anno dopo il primo, probabilmente per cavalcare l’immenso successo di pubblico, il secondo episodio della saga tratta dai racconti di Giovannino Guareschi conserva la squadra vincente dell’esordio: produce Cineriz (perché Rizzoli aveva i diritti dei racconti), dirige Duvivier – anche sceneggiatore con René Barjavel – e interpretano Fernandel e Cervi, coadiuvati dal medesimo gruppo di caratteristi. La morale del film rimane la stessa – nei piccoli borghi del dopoguerra gli uomini si schieravano su fronti opposti ma condividevano il bene comune – ma questo secondo capitolo segna parecchi punti rispetto al precedente. La narrazione diventa più fluida, meno schematica; le gag, pur presenti in abbondanza, evitano l’accumulo forsennato; gli screzi tra i protagonisti, qui più verbali che fisici, sono più umanamente credibili; le psicologie dei personaggi sono meglio delineate, anche e soprattutto nelle figure minori; infine, vengono introdotti elementi fiabeschi (il “non morire” del dottor Spiletti, l’anima venduta dal Nero, i bambini che si rifiutano di nascere) che innalzano il film da quella piatta scrittura televisiva che contraddistingueva il primo capitolo. Parecchie le scene da antologia – l’incontro di Boxe vinto, fuori campo, dal parroco, la punizione dell’olio di ricino inferta ad un ex fascista che torturò prete e sindaco ai tempi della guerra, l’alluvione finale – e parecchie le risate, senza dimenticare che non manca qualche passo sentimentale (come la visita di Camillo al collegio del piccolo Beppo) che da spessore ad una sceneggiatura pregevole e meno frammentaria di quanto sembrerebbe. Le voci italiane restano le stesse del primo episodio: Carlo Romano è Don Camillo, Emilio Cigoli il narratore e Ruggero Ruggeri il Cristo con cui parla abitualmente il parroco. Rispetto al film del 1952, sono molti di più gli attori francesi rispetto a quelli italiani. Da non perdere.

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