Men in Black 3

(MIB³ – Men in Black 3)

Regia di Barry Sonnenfeld

con Will Smith (Agente J), Tommy Lee Jones (Agente K), Josh Brolin (Agente K da giovane), Emma Thompson (Agente O), Jemaine Clement (Boris l’animale), Michael Stuhlbarg (Griffin), Bill Hader (Agente W/ Andy Warhol), Alice Eve (Agente O da giovane), Mike Colter (Colonnello James Darrell Edwards), Keone Young (Mister Wu), Nicole Scherzinger (Lilly), Michael Chernus (Jeffrey Price).

PAESE: USA 2012
GENERE: Fantastico
DURATA: 105’

Dieci anni dopo gli eventi del secondo film, l’agente K e l’agente J fanno ancora coppia nei Men in Black, struttura non governativa che regola l’immigrazione aliena sulla Terra. Quando un alieno malvagio fugge di prigione e torna indietro nel tempo – 1969 – ad uccidere il giovane K (impedendogli così di nuocere nel presente), J è costretto a seguirlo per evitare il fattaccio.

A 14 anni dall’uscita del capostipite e a dieci da quella del secondo episodio, continua la saga fantasy- comica ispirata ai fumetti di Lowell Cunningham. Si dice spesso che i seguiti non sono mai all’altezza degli originali, e a guardare il secondo – bruttino – la tesi è confermata. Sorpresa invece per questo terzo, atteso capitolo: è divertente, fresco, ricco di idee e di spunti interessanti (anche seri, come quello sullo scorrere del tempo e quello degli “infiniti futuri” possibili); stessa squadra (Sonnenfeld dietro la macchina da presa, Smith e Lee Jones davanti), stessa formula (basata su un mix di paura e risate), ma questa volta la sceneggiatura è più curata, e le idee sono davvero parecchie. La struttura dei viaggi del tempo è esplicitamente debitrice dei Ritorno al futuro, ma lo script – attribuito a Etan Cohen nonostante alcuni rimaneggiamenti, anche da parte di Will Smith – è corposo e ben congegnato, e se si esclude qualche cedimento nel sottofinale, tiene il ritmo senza problemi per più di un’ora e mezza senza scivolare nel prevedibile. E, per la prima volta, lascia spazio ai sentimenti. Il merito della sua riuscita va diviso tra sceneggiatura, attori e, per una volta fa piacere sottolinearlo, regia: Sonnenfeld non è CarpenterTim Burton, ma sono parecchie le scene che colpiscono, e basterebbero la sequenza del “salto nel tempo” di J o quella in cui gli agenti lottano sul ponte di lancio dell’Apollo 11 per constatare che, anche a livello formale, il film si innalza dalla media nazionale dei soliti blockbuster. L’ambientazione del 1969 è semplicemente perfetta (scenografie di Susan Bode), e presto si rivela vivaio ideale per qualche riuscita frecciata satirica (J per la prima volta conosce il razzismo, Andy Warhol è in realtà un agente del MIB sotto copertura, le modelle sono TUTTE alieni).

Forse il cattivo non è all’altezza dell’Edgar del primo episodio, ma c’è almeno un comprimario – lo svampito Griffin, alieno tenero che vede il futuro – che con originalità e simpatia compensa qualsiasi mancanza. Nel terzetto di testa forse vince Will Smith, al culmine del suo umorismo mimico e verbale, ma che dire dell’impeccabile Brolin che imita alla perfezione le espressioni facciali di Jones? Effetti speciali deliziosamente schifosi del veterano Rick Baker, che con dissacrante gusto dell’orrido esplicita tutta la pacchianeria del suo operato e si beffa della perfezione anatomica di molti prodotti coevi. Musiche azzeccate di Danny Elfman. Love is strange, canzone rubata da Dirty Dancing e ribattezzata Back in time, appare nel finale in un bel remix del cantante rap Pitbull. Primo della trilogia in cui la theme song non è farina del sacco di Will Smith. Tra i produttori esecutivi figura ancora – e si sente – Steven Spielberg. In una scena al quartier generale degli uomini in nero appaiono su uno schermo, identificati come alieni, Bill Gates e Lady Gaga. Sonnenfeld sa di girare un fumetto, e non prendendosi troppo sul serio firma uno dei suoi filmetti migliori. Da non perdere, sia per i fan della serie che per i profani del MIB. Uscito in 3D.

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