Regia di Spike Lee
con Edward Norton (Montgomery “Monty” Brogan), Philip Seymour Hoffman (Jacob Elinsky), Barry Pepper (Frank Slaughtery), Rosario Dawson (Naturelle Riviera), Anna Paquin (Mary D’Annunzio), Brian Cox (James Brogan), Tony Siragusa (Kostya Novotny), Levani [Levan Uchaneishvii] (Zio Nikolai), Isiah Whitlock Jr. (Agente Flood), Michael Genet (Agente Cunningham), Patrice O’Neal (Khari).
PAESE: USA 2002
GENERE: Drammatico
DURATA: 135’
New York, 2002. Ultime ventiquattro ore di libertà per Monty Brogan, piccolo spacciatore, beccato e condannato a sette anni di prigione. Incontra gli amici Frank e Jacob, il padre, la fidanzata Naturelle. Dopo aver sognato l’ultimo volo libero, non gli resterà che avviarsi verso il destino che lui stesso si è cucito addosso.
Dal romanzo omonimo di David Benioff, anche sceneggiatore con Lee che l’ha trasformato in uno dei primi, grandi film sull’11 settembre 2001 e su un’America spaesata e impaurita che deve ancora elaborare (e comprendere) i propri lutti. Il romanzo – scritto PRIMA dell’attentato – era una riflessione sull’impossibilità di avere una seconda occasione. Una riflessione che il regista adatta ad un intero paese in lacrime che si accorge, come Monty, di aver fatto troppe scelte sbagliate per poter tornare indietro. Il vuoto lasciato dalle torri somiglia tanto ad un vuoto politico, sociale, esistenziale. Ambientato nell’arco di una sola giornata ma scandito da una manciata di flashback (inseriti in modo originale e spesso inatesso), il film ha un montaggio incalzante e nervoso che racconta la smania, il bisogno di indagare la realtà in ogni modo e da ogni punto di vista per provare a capirla. Il sogno americano sembra aver fallito, l’innocenza è andata perduta, la rassegnazione è il sentimento che sembra muovere tutti i personaggi. Il monologo di Monty davanti allo specchio e la sequenza finale in cui il padre gli propone un’ultima, metafisica fuga (dalla prigione, ma anche dalla realtà) sono due delle scene più riuscite e poetiche mai partorite dal cinema americano.
I rapporti di Monty col padre e col cane bastardino Doyle, oltre a garantire inaspettati picchi emozionali, sono la prova lampante della maturazione di Lee: il regista afroamericano ha finalmente capito che nei suoi film mancava un elemento fondamentale, ovvero la pietà. La critica americana si è letteralmente divisa, forse perché il film si può leggere anche come una metafora non troppo dolce nei confronti della società americana: come Monty, che davanti allo specchio insulta tutta la città senza rendersi conto di essersi rovinato da solo, l’America si è creata un esercito di nemici esterni (veri o presunti) senza accorgersi che il male gli dormiva in casa. Contributi tecnici magistrali: dalla fotografia di Rodrigo Prieto al montaggio di Barry Alexander Brown) dalle musiche di un impegnato Terence Blanchard alla regia elegante di Lee. L’azzeccata canzone finale è la bellissima The Fuse (“la miccia”) di Bruce Springsteen. Uno di quei film felici in cui tutto funziona. Non c’è una scena inutile, non un momento sbagliato . Un capolavoro, probabilmente il miglior film di Spike Lee.
perchè convenzionale la scena coi russi?
Te lo spiego subito. La 25a ora è secondo me un film “non convenzionale” (nei temi, nei personaggi, nella forma); anzi, per me è forse IL FILM meno convenzionale di Lee in quanto, pur riconoscendogli grande maestranza tecnica, l’ho sempre trovato un regista un pò perso nello “stereotipo della propria cultura/ etnia”. La scena coi mafiosi russi da secondo me un “contentino” al pubblico, un contentino di cui non c’era bisogno. Ovvero: Monty va in galera, solo, triste, malmenato dal suo migliore amico; ma almeno sappiamo che Naturelle non l’ha tradito. E’ una scena consolatoria, secondo me. Immaginati la statura epica di Monty che, senza sapere che è stato Costya, torna a casa la mattina e dice a Naturelle: “Ok, non mi importa se sei stata tu o meno. Ti amo”. Secondo me sarebbe stato meglio. Il pubblico forse non avrebbe saputo chi era “l’infame”, ma d’altro canto avrebbe compreso meglio il fatto che non è importante il “chi è stato”. Monty non si è forse scritto da sè il proprio destino? E’ stato lui a mettersi in gabbia, chi l’ha tradito è poco importante.
respect,bro!