Metropolis

(Metropolis)

Regia di Fritz Lang

con Alfred Abel (Johann Fredersen), Gustav Fröhlich (Freder Fredersen), Brigitte Helm (Maria/ la donna robot), Rudolf Klein-Rogge (C.A. Rotwang, l’inventore), Fritz Rasp (lo smilzo), Theodor Loos (Josaphat), Erwin Biswanger (Georgy – N° 11811), Heinrich George (Grot).

PAESE: Germania 1927
GENERE: Fantascienza
DURATA: 117’ (147’)

A Metropolis, città del futuro, vige una rigida divisione classista: i ricchi nullafacenti vivono all’aria aperta, liberi e con tutti i comfort, i poveri operai vivono nel sottosuolo, privi di diritti e ammassati come formiche. Alle prime avvisaglie di una rivoluzione, il dittatore Fredersen commissiona all’inventore Rotwang una donna- robot che vada a seminare zizzania nel proletario. Ma non sa che il figlio Freder, che per caso ha scoperto le condizioni degli operai, ha deciso di cambiare fronte e si è innamorato di Maria, una di loro…

Concepito suggellando la teoria wagneriana del Gesamtkunstwerk (opera d’arte totale), il dodicesimo film di Lang – tratto da un romanzo della moglie Thea von Harbou e sceneggiato da entrambi – resta tutt’oggi la sua opera più nota, nonché uno dei capisaldi del genere fantascientifico. A livello figurativo- tematico, è una sorta di spartiacque tra Méliès e Kubrick, tra gioco fine a sé stesso e maturità intellettuale. È il primo film di fantascienza spiccatamente “politico” e autoconsapevole: Lang intuì le potenzialità metaforiche del genere e, quasi 25 anni prima di 1984 (George Orwell, 1949), immaginò un “quadro sociale” allarmante che anticipava di parecchi anni le riflessioni ideologiche sulle masse e sull’individuo. Un critico del New York Times lo definì “una meraviglia tecnologica coi piedi d’argilla”, lo scrittore H. G. Wells parlò di film “stupidissimo”, il regista Buñuel ne riscontrò la meraviglia scenica ma ne denunciò i limiti strutturali.

Oggi, guardandolo con la giusta serenità dettata dagli anni, non è difficile riscontrarne i macroscopici difetti: il contrasto tra l’estro visionario di Lang (ravvisabile negli effetti scenografici e nelle suggestioni “politiche”) e la scrittura da romanzo d’appendice della moglie von Harbou (che intrise la storia di anacronistici sentimentalismi e facili riferimenti religiosi) appare irrisolto, e spesso si ha l’impressione di osservare uno spettacolo tanto magnifico quanto vacuo; la rivoluzione degli operai non porta ad una presa di coscienza, bensì ad una perdita dell’innocenza che li fa somigliare a degli idioti pecoroni (non si accorgono che i loro atti di ribellione stanno uccidendo i loro figli, mentre impiegano pochi secondi per cambiare bandiera e dimenticare i propri ideali); la presa di coscienza, paradossalmente, arriva dai “padroni”, che alla fine capiscono di aver sbagliato e angelicamente fanno la pace senza pagare per le loro colpe. Ne esce un film sulla rivoluzione in cui i rivoluzionari fanno una bruttissima figura. Forse è anche per questi motivi che Hitler e Goebbels apprezzarono moltissimo il film.

Ma dietro le lungaggini mielose, le cadute di gusto, la retorica da due soldi, compare imperioso il talento visivo di Lang, capace di creare una megalopoli espressionista dominata dal concetto di contrasto (sopra vs sotto, ricchi vs poveri, chiarezza vs oscurità, sviluppo verticale vs sviluppo orizzontale), sorta di babelica rappresentazione della terrificante superbia umana. Senza dimenticare che, per la prima volta, viene introdotta in modo maturo l’emblematica figura del robot, capace di veicolare tutta una serie di riflessioni (filosofiche, sociali, politiche, esistenziali) che diverranno stereotipo corrente in tutta la fantascienza venuta dopo. Così come le architetture scenografiche, riprese da Ridley Scott in Blade Runner, da Lucas in Guerre Stellari, dai fratelli Wachowski in Matrix.

A livello narrativo il film non ha lasciato nulla ai posteri, ma a livello formale ha dettato i parametri per la fantascienza moderna, adulta e immaginifica. Anche dal punto di vista tecnico, il film si può considerare un prodotto d’avanguardia: Lang utilizzò per la prima volta il cosiddetto effetto Schüfftan (rudimentale esempio di “sfondo virtuale”) e inventò il passo uno (oggi stop motion), senza rinunciare tuttavia a immagini eleganti e perfettamente armoniche che non sentono lo stacco tra fondali dipinti e fondali proiettati, tra inquadrature senza interventi esterni e inquadrature ritoccate con tecniche sperimentali. Per questo, si può considerare Metropolis un antenato dei film in computer grafica, con cui condivide anche un budget spropositato (a tal punto che rischiò di far fallire la UFA). Pregevole lavoro fotografico del veterano Karl Freund.

Quanto alle versioni del film, ne esistono molte e tutte differenti per durata e montaggio: già nel 1927 Lang tagliò circa 30’ dalla versione originale, riducendola ai 117 minuti della versione giunta a noi; una prima versione restaurata, della durata di 147’, fu curata da Enno Patalas per la cineteca di Monaco nell’1984; lo stesso anno il compositore Giorgio Moroder rieditò il film (87’) colorizzandolo e sovrapponendogli una colonna sonora rock; stessa operazione svolta dal compositore minimalista americano Philip Glass qualche anno dopo; infine nel 2008, ritrovato il 95% del materiale mancante (perso durante la seconda guerra mondiale), fu preparata una versione di 148’ presentata al Festival di Berlino e subito riversata in dvd. La versione del 2008 è probabilmente la più esaustiva. Quella di Moroder, da molti considerata discutibile, è comunque legittima, in quanto Metropolis è un film muto che, in maniera maggiore rispetto ad altri, non può vivere senza musica. E, pur con tutti i suoi difetti, è un film assolutamente da vedere.

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4 risposte a Metropolis

  1. cinefobie scrive:

    Questa volta, ahimé, non mi trovo pienamente d’accordo con ciò che scrivi. O meglio, la tua analisi è ottima, come sempre, e fornisci notizie e punti di vista con dovizia di particolari. Quello con il quale mi sento un po’ di dissentire è il giudizio che dai all’intera opera. Quei difetti che tu riscontri non mi paiono troppo difettosi. Il branco di pecore che fa la rivoluzione ne esce sconfitto e denigrato perché quella è la natura dell’uomo che segue ideali altrui. In altre parole, io credo che la rivoluzione finale non sia altro che la versione caotica degli uomini-macchina che si vedono accodati l’un l’altro in apertura di pellicola.

    Vabbé, alla fine questi sono solo dettagli interpretativi..

    Tra l’altro io ne vidi una versione che non so se sia quella da te citata del 2008 [ma probabilmente si] che durò tre ore e un quarto in quanto, venni a sapere in seguito perché in sala nessuno se ne accorse, fu proiettata a un velocità inferiore rispetto a quella canonica per una discrepanza di sincronizzazione sorta all’ultimo minuto tra film e sottotitoli. Sempre meglio un Metropolis lento che un The Tree Of Life con la seconda parte al posto della prima! eheh

    • nehovistecose scrive:

      Si avevo sentito che una versione era stata proiettata a 24 fotogrammi al secondi invece che ai 16 originali…ti ringrazio per il commento e,contraccambiando,la tua tesi non fa una grinza! grazie per il comment:-)

  2. Pingback: Metropolis « (Il pesce di Erwin)

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