Crash – Contatto fisico

(Crash)Locandina

Regia di Paul Haggis

con Sandra Bullock (Jean Cabot), Brendan Fraser (Rick Cabot), Don Cheadle (Detective Graham Waters), Jennifer Esposito (Ria), Matt Dillon (Sergente John Ryan), Ryan Phillippe (Agente Tom Hansen), Thandie Newton (Christine Thayer), Terrence Howard (Cameron Thayer), William Fichtner (Flanagan), Michael Peňa (Daniel), Ludacris [Christopher Bridges], Larenz Tate (Peter Graham), Shaun Toub (Farhad), Loretta Devine (Shaniqua Johnson).

PAESE: USA 2004
GENERE: Drammatico
DURATA: 110′

Ordinarie storie di razzismo e intolleranza si intrecciano nell’arco di due notti a Los Angeles: un procuratore distrettuale viene derubato con la moglie da due neri ma non può dirlo per non perdere il voto degli afroamericani; un detective con problemi in famiglia deve risolvere un caso difficile che lo colpirà negli affetti; un giovane poliziotto scopre gli abusi di potere del suo partner, ottuso e razzista; un regista televisivo riceve il disprezzo della propria fidanzata, molestata davanti a lui; un negoziante persiano si convince che il colpevole della rovina del suo emporio sia un mite ed onesto manovale…

Primo film di Haggis, già sceneggiatore di successo (Million Dollar Baby) che qui si fa aiutare nello script da Bobby Moresco. Un affresco americano “ad alto tasso emozionale” che riflette sul razzismo e sulle sue mille sfaccettature, sull’odio e le paure post 11 settembre. Per farlo, sceglie quella Los Angeles multietnica che, paradossalmente, rappresenta il fallimento del melting pot statunitense. A livello formale, eccezion fatta per l’ansia di far tornare per forza tutti i conti, tipica degli sceneggiatori che passano dietro la macchina da presa, nulla da eccepire: Haggis costruisce e intreccia le storie alla perfezione, disegna personaggi ben definiti e interessanti, opta per uno stile poetico- onirico di ampio respiro (in alcuni passi, complici le belle musiche di Mark Isham e la fotografia di James Muro, pare di vedere Blade Runner). Le riserve sono piuttosto a livello ideologico: Haggis cerca sì le ragioni del razzismo, ma nel farlo attribuisce a tutti i protagonisti un retroterra di dolore che in qualche modo ne giustifica le gesta, anche deprecabili. Finisce così per scordarsi della ragione primaria (l’ignoranza, che genera via via tutte le altre, anche la paura) e rischia l’apologia. Il fatto che non ci sia una netta divisione tra buoni e cattivi ci potrebbe anche stare, ma il passaggio tra bene e male e viceversa è troppo veloce e, soprattutto, ambiguo, come dimostrano le redenzioni “in extremis” dell’antipatico sergente Stone e dell’insopportabile miss Cabot o il brutto guaio in cui incappa il giovane e “buono” agente Hansen. Sicuramente gli intenti sono onorevoli, ma forse la visione di Haggis non è così esageratamente progressista come la crede lui. Ottimo cast, coadiuvato da contributi tecnici di prim’ordine. Si portò a casa tre Oscar importantissimi: film, sceneggiatura originale e montaggio (Hughes Winborne). Non va preso per ciò che non è – un capolavoro – ma è un film da vedere.

2.5

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