La luna su Torino

Regia di Davide Ferrariola-luna-su-torino_cover

con Walter Leonardi (Ugo), Manuela Parodi (Maria), Eugenio Franceschini (Dario), Daria Pascal Attolini (Eugenia), Aldo Ottobrino (Guido), Benedetta Perego (Greta), Franco Maino (Gino, il pensionato), Diego Casale (il bigliettaio tifoso), Franco Olivero (avvocato Ungari), Stefano Scherini (Ivan, il fotografo), Giulia Odori (l’acrobata).

PAESE: Italia 2013
GENERE: Commedia
DURATA: 91’

Nella città sul 45° parallelo – cioè esattamente a metà tra il polo nord e l’equatore – convivono, in una casetta sulla collina, tre personaggi: il quaratenne Ugo, nullafacente, che ama le storie dei vecchi al bar e legge Leopardi; la ventiseienne Maria, che lavora in un’agenzia di viaggi; il ventenne Dario, universitario che lavora in un bioparco a stretto contatto con gli animali. Tutti e tre non sanno cosa fare delle loro vite.

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21esimo lungometraggio di Ferrario, cremonese trapiantato a Torino, uno tra i più grandi cantori per immagini che la città della Mole abbia mai avuto. Questo suo piccolo, straLUNAto, indipendente film girato interamente in digitale, con l’ausilio di droni per le riprese aeree, è una commedia leggera e divertente che riflette sullo smarrimento esistenziale di questi tempi nostri. Lo fa riprendendo una Torino inedita e magica che diventa, come nel precedente Dopo mezzanotte, uno spazio mentale, un punto d’incontro tra la realtà e la suggestione metafisica. Lo fa alternando argomenti alti (le operette morali di Leopardi) a suggestioni basse (i cartoni animati erotici giapponesi), voglia di fuga alla Salvatores e incursioni oniriche alla Fellini, poesia e comicità. Ferrario è uno dei pochi autori italiani che ancora crede nell’arte del cinema puro, quella che comunica per immagini e non ha bisogno di parole. Alla base delle critiche che lo definiscono un film “confuso” c’è, perdonate il gioco di parole, una grande confusione: ancora una volta, la critica italiana (soprattutto quella giovane e non accademica) attacca l’indeterminatezza scambiandola per incomprensione, senza accorgersi che l’indeterminatezza era la cifra preponderante dei grandi narratori del passato (Fellini, Antonioni, Ferreri) che tanto stiamo a rimpiangere. È un film estremamente personale in cui le suggestioni che derivano dalle immagini sono più importanti della storia.

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Ancora una volta, come spesso accade nei suoi film, Ferrario “spezza” il film proponendo un punto di vista “dall’alto”: Ugo sale su una mongolfiera, così come Martino saliva sulla Mole e il direttore del carcere di Tutta colpa di Giuda saliva sulla torre più alta del carcere. I personaggi hanno bisogno di guardare le cose da un punto di vista differente, per comprenderle, o anche soltanto per contemplarle in silenzio. Che è poi quello cui dovrebbe aspirare il cinema. Fior di critici l’hanno definito una sorta di Grande bellezza con Torino al posto di Roma. L’unica analogia col film di Sorrentino, in realtà, sta nel fatto che entrambi i registi evitano la “regionalizzazione”: romani e torinesi quasi non si vedono. Per il resto, non cadrà il mondo se diremo che ci è piaciuto di più La luna su Torino che La Grande bellezza: meno formalismi, meno intellettualismi, ma una leggerezza di racconto che il cinema italiano sembra aver smarrito. Così come ha smarrito la voglia di far ridere facendo anche riflettere. Bravissimi gli attori (menzione speciale per Leonardi), quasi tutti sconosciuti, e ancora una volta perfette la fotografia di Dante Cecchin e la musica di Fabio Barovero, da parecchi anni stretti collaboratori del regista e tra i principali artefici del suo ormai riconoscibilissimo stile. È un film non tanto da guardare, quanto da godere.

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