Alì

(Ali)ali

Regia di Michael Mann

con Will Smith (Muhammad Ali), Jamie Foxx (Drew “Bundini” Brown), Jon Voight (Howard Cosell), Mario Van Peebles (Malcolm X), Ron Silver (Angelo Dundee), Jeffrey Wright (Howard Bingham), Mykelti Williamson (Don King), Jada Pinkett Smith (Sonji), Malick Bowens (Mobutu), Michael Michele (Veronica Porche), Barry Shabaka Henley (Herbert Muhammad), Giancarlo Esposito (Cassius Marcellus Clay Sr.), Joe Morton (Chauncey Eskridge), James Toney (Joe Frazier).

PAESE: USA 2001
GENERE: Sportivo
DURATA: 159′

Una decinda d’anni di vita del pugile chiacchierone Cassius Clay, poi Muhammad Ali, dal 1964 (primo titolo mondiale contro Sonny Liston) al 1973 (vittoria contro George Foreman, in Zaire), passando per la conversione religiosa all’Islam e l’amicizia con Malcolm X, le vicissitudini legate al rifiuto di partire per il Vietnam e il burrascoso rapporto con le due prime (su quattro totali) mogli…

Settimo film di Mann, anche sceneggiatore con Stephen J. Rivele, Christopher Wilkinson ed Eric Roth. Film musicale, sia perché pieno di canzoni sia perché sembra danzare, proprio come Alì sul ring. Mann si rivela grande maestro nel coreografare i combattimenti, ma ciò che gli interessa davvero è l’incredibile “consapevolezza mediale” di Alì, che si autocrea il proprio personaggio plasmando i mezzi di comunicazione secondo il suo volere. È un biopic anomalo, non agiografico (si racconta l’impegno di Alì a favore dei diritti civili, ma anche la sua cieca adesione alla setta della Nazione Islamica), molto più vicino a Toro Scatenato che a Rocky. Nella seconda parte esce il suo sottotesto politico: Alì combatte in Zaire convinto di poter dare una speranza ai neri d’Africa, ma non si accorge di essere usato come una sorta di mascotte dal dittatore Mobutu. Ecco perché la sconfitta di Foreman, alla fine, non possiede nulla di davvero vittorioso: come ai tempi dei gladiatori, si da al popolo un contentino per tenerlo buono. Pessimista? Forse, ma è anche una delle più riuscite metafore dello sport d’alto livello di oggi. Come molti altri film di Mann, ha molti momenti sospesi che nella loro semplicità sfiorano la poesia. Bellissime immagini (la fotografia è di Emmanuel Lubezki), sagace ed originale utilizzo del fuori fuoco, ottima ricostruzione d’epoca e una dimensione sonora (musiche, canzoni, ma anche rumori) di grande suggestione. Un Mann forse più classico del solito ma sempre strepitoso. Grande prova di Smith, che per diverse ragioni ricorda quella di De Niro nel film di Scorsese. Fuori luogo invece i cinque centimetri di cerone sul volto di Voight: va bene farlo somigliare al Cosell originale, ma quel naso e quegli zigomi paiono di cartapesta. Nessun premio importante, ma dei molti film e film TV sulla figura di Alì è probabilmente il migliore.

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