WALL•E

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Regia di Andrew Stanton

PAESE: USA 2008
GENERE: Animazione
DURATA: 100′

Anno 2105. In seguito all’incontrollato proliferare dei rifiuti (e quindi dell’inquinamento), la popolazione mondiale si è trasferita su una gigantesca astronave. Settecento anni dopo, il metodico robottino WALL•E (Waste Allocation Load LifterEarth-Class, sollevatore terrestre di carichi di rifiuti) si innamora della robottina EVE, inviata sulla Terra dagli umani con la missione di cercare qualche forma di vita. La trova, il che significa che gli umani ora possono tornare a casa. Tuttavia questi ultimi, divenuti grassi e inerti, dovranno prima vedersela con il bieco robottino che controlla la nave spaziale…

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Diretto da Stanton (A bug’s life, Alla ricerca di Nemo), anche sceneggiatore con Jim Reardon (responsabile di moltissimi episodi de I simpson) e autore del soggetto con Pete Docter (Monsters & Co, Up), uno dei più bei film d’animazione di tutti i tempi, fiore all’occhiello della Pixar e quindi della Disney. Racconta la storia d’amore tra due esseri robotici non antropomorfi che si dimostrano molto più umani degli umani stessi. Questi ultimi, passivi e imbelli, talmente sprofondati nell’agio da non accorgersi di essere diventati obesi e incapaci di stare in posizione eretta, sono una delle più riuscite metafore del consumismo (e quindi del capitalismo) mai narrate non solo dal cinema d’animazione, ma dal cinema in generale. Un film tenero e intelligente, unico nel suo genere. Così come unico è il suo protagonista, robot netturbino un po’ E.T. e un po’ Numero 5, che guarda Hello Dolly! e colleziona oggetti dimenticati dagli umani, che capisce la bellezza dell’infrangere le regole (“la direttiva!”) e affida la sua espressività esclusivamente ai movimenti della propria testa-binocolo.

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Citazioni a iosa dei capolavori della scifi “matura” (2001: odissea nello spazio, Incontri ravvicinati del terzo tipo, Alien, Fuga da New York, Blade Runner), ma il vero modello, decisamente più “antico”, è nientemeno che Charlie Chaplin: nella prima parte muta e con un solo personaggio, nella comicità slapstick, nella dolcezza gentile della storia d’amore, nel carattere buono e ingenuo di WALLE, si ritrova lo spirito umanista e genuino delle comiche di Charlot. Non male, per un cartoon. Forse la seconda parte, piena di azione, è meno poetica dei primi ’40, ma sicuramente non è convenzionale, e l’intreccio avanza fino alla fine su binari inaspettati. Importante dimensione politica (il governo è stato sostituito dal consiglio di amministrazione di una multinazionale). L’intelligente riflessione filosofica attinge direttamente al mito della caverna di Platone ma, come per ogni classico, le possibilità di lettura sono infinite.

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A livello formale, oltre all’oramai inarrivabile espressività degli oggetti inanimati, si fanno notare il lavoro sulla fotografia (coordinata dall’esperto Roger Deakins e ispirata al look dei film post apocalittici anni ’70 e ’80), quello sul design del suono (orchestrato da Ben Burtt “umanizzando” suoni elettronici) e quello sulla musica, curata da Thomas Newman con cameo di Peter Gabriel. C’è anche una versione jazz e anglofona di La Vie en Rose di Edith Piaf, cantata da Louis Armstrong. Per la prima volta in un film Pixar appare un attore in carne ed ossa: si tratta di Fred Willard, che interpreta il CEO della multinazionale nei filmati di repertorio. La voce del computer Auto è di Sigourney Weaver. Un grande film, romantico senza essere retorico, commovente senza essere mieloso, per adulti senza mai smettere di essere soprattutto per i bambini. Da non perdere i titoli di coda in cui i robot diventano protagonisti di alcuni grandi capolavori della pittura. Bellissimo.

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