Il processo

(Le Procès)

Regia di Orson Welles

con Anthony Perkins (Joseph K.), Jeanne Moreau (la signorina Burstner), Orson Welles (Hastler), Romy Schneider (Leni), Elsa Martinelli (Hilda), Suzanne Flon (la signora Gurbach), Akim Tamiroff (Block), Arnoldo Foà (l’ispettore), Fernand Ledoux (il commesso del tribunale).

PAESE: Francia, Italia, Jugoslavia 1962
GENERE: Grottesco
DURATA: 120′

Joseph K., mite impiegato di una multinazionale, è dichiarato in arresto (con obbligo di presentarsi al lavoro) senza che nessuno gli spieghi il perchè. In cerca di risposta si avventura nei palazzi del potere, ma alla fine, compreso che è impossibile ottenerla, accetterà sommessamente la propria condanna.

Ottavo film di Welles, dal romanzo omonimo – pubblicato postumo nel 1925 – di Franz Kafka. Attraverso l’esasperato espressionismo della messa in scena, delle scenografie, della fotografia, Welles vince la scommessa di ricreare alla perfezione il clima opprimente e claustrofobico del romanzo: usa il grandangolo per “schiacciare” i personaggi contro i bassi soffitti delle stanze, si ispira alle cupe incisioni di Giambattista Piranesi per le inquietanti scenografie, mostra una città modulare e asettica ma perennemente deserta e priva di qualsiasi calore umano. Ne esce così un apologo grottesco sull’insignificanza del semplice cittadino dinnanzi alla legge e alla burocrazia che la regola, ma anche sull’incomunicabilità umana (i personaggi si parlano senza capirsi). Gli uomini sono tutti o stupidi o cattivi, le donne sono solo corpi da utilizzare come merce di scambio: la dice lunga sulla fiducia che Welles – e Kafka – nutrivano per l’umanità. Riuscito dunque sul piano simbolico e figurativo, lo è un po’ meno su quello narrativo: nella seconda parte qualche sequenza sembra girare a vuoto, e talvolta risulta difficile appassionarsi per la sorte del personaggio. Girato in Italia, Jugoslavia e Francia (memorabili le scenografie ricostruite nella Gare d’Orsay in disarmo). Notevole – e in linea con la modernità che si respira per tutto il film – la colonna sonora jazz di Jean Ledraut. La critica USA non perdonò a Welles la scelta di Perkins (appena lanciato da Psyco) e quella, in realtà perfettamente aderente alla sua poetica, di cambiare leggermente il finale. Nonostante questo il regista ne era molto soddisfatto, probabilmente anche perché era dai tempi di Quarto potere che non godeva della totale libertà creativa che la produzione francese invece gli riconobbe. Titolo anglofono: The Trial. 

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