Un affare di famiglia

(Manbiki Kazoku)

Regia di Hirozaku Kore’eda

con Lily Franky (Osamu Shibata), Sakura Ando (Nobuyo Shibata), Kirin Kiki (Hatsue Shibata), Mayu Matsuoka (Aki Shibata), Jyo Kairi (Shota Shibata), Miyu Sasaki (Yuri), Chizuru Ikewaki (Miyabe San), Sosuke Ikematsu (4 ban-san).

PAESE: Giappone 2018
GENERE: Drammatico
DURATA: 121′

Nella desolata (o desolante) periferia giapponese dei giorni nostri la famiglia Shibata sopravvive grazie a furtarelli e piccole truffe. Una sera, tornando a casa col figlio Shota, il capo famiglia Osamu trova una bambina abbandonata e la porta a casa con sé. La famigliola allargata sembra dare alla piccola una chance di vita felice, ma un incidente di percorso porterà alla luce un terribile segreto…

20esimo film di Kore’eda, da sempre interessato al tema dei rapporti interpersonali, specialmente quelli familiari. Spesso si dice che la famiglia non si sceglie, che dobbiamo fare i conti con quella che ci capita. Kore’eda rivolta lo stereotipo e racconta la storia di una famiglia i cui membri, consapevolmente o meno, si sono scelti. Il problema è che la legge non può riconoscerli come nucleo familiare, e dunque il loro giaciglio – un monolocale poverissimo e caotico, a riprova che la casa non è un posto ma un insieme di persone che stanno bene tra loro – è destinato a sparire. È un bene o un male? Chi è davvero il mostro? E, soprattutto, cosa è giusto e cosa è sbagliato, quando si parla di legami? Film così ben costruito sull’alternanza tra riso e dramma, tra tenerezza e crudeltà, da poter essere considerato, specialmente dopo la svolta dell’ultima mezz’ora, quasi due film in uno. Importante anche la dimensione di critica sociale, da sempre componente fondante del cinema del regista. La consapevolezza finale assunta da Shota rivela che si tratta di un film pessimista ma non privo di un briciolo di speranza. Nel background del regista sono evidenti echi del neorealismo italiano (l’indugio sui tempi morti e le divagazioni), del primo Pasolini (il racconto di un sottoproletariato non istruito che non lotta per riscattarsi perché non sa come fare), della Novelle Vague (la sintassi libera, gli interrogatori finali che citano I 400 colpi) e di Chaplin (il rapporto tra Osamu e i figli non è molto simile a quello tra Charlot e il bambino ne Il monello?), ma il suo stile rimane estremamente originale e personale. Grandissima fotografia di Ryuto Kondo che illumina in maniera simbolica e struggente un Giappone inedito, soprattutto per il pubblico occidentale. Lento, un po’ troppo lungo, ma difficile da dimenticare. Interpreti bravissimi, anche e soprattutto i più giovani. Palma d’Oro a Cannes 2018.

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2 risposte a Un affare di famiglia

  1. Non si dimentica, è vero!
    Kalos

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