(The Great Dictator)
Regia di Charlie Chaplin
con Charlie Chaplin (Adenoid Hynkel/il barbiere ebreo), Paulette Goddard (Hannah), Jack Oakie (Benzino Napaloni), Reginald Gardiner (Schultz), Henry Daniell (Garbitsch), Billy Gilbert (Herring), Grace Hayle (la Signora Napaloni), Maurice Moscovitch (Signor Jaeckel).
PAESE: USA 1940
GENERE: Satirico
DURATA: 125′
Un mite barbiere ebreo, reduce smemorato della prima guerra mondiale, torna a casa e trova la natìa Tomania in mano al perfido dittatore Adenoid Hynkel. Catturato, viene scambiato per Hynkel e, davanti a decine di migliaia di persone, pronuncia un discorso pacifista.
Settimo film di Chaplin, il primo sonoro. Una scelta obbligata (il sonoro era arrivato nel 1927, e nonostante Chaplin fosse il produttore di sé stesso sapeva che continuare a fare flm muti avrebbe precluso i suoi guadagni) ma più che mai necessaria, impellente: Charlot – come dimostra il celeberrimo, magnifico discorso finale – non può più stare in silenzio dinnanzi alla Storia e alle nefandezze del nazifascismo. Chaplin affermò che se avesse saputo cosa accadeva nei campi di concentramento non avrebbe mai girato il film, poiché non se la sarebbe sentita di ridere su un evento così tragico. Un’ingenuità, se così vogliamo chiamarla, che gli si perdona per diverse ragioni: innanzitutto non mancano scene fortemente drammatiche (il rastrellamento nel ghetto, le imprese degli squadristi), che danno al film un tono assolutamente serio e mai farsesco, nemmeno quando a prendere il sopravvento è la comicità; si fa poi apprezzare per l’incredibile capacità di analisi, soprattutto in merito ai meccanismi del regime (il ruolo della propaganda, il bisogno di trovare un nemico da odiare affinché il popolo non pensi ai problemi veri, la natura del rapporto tra Hitler e Mussolini), e per l’onestà con cui traccia la sua parabola umanista sul bene e sull’uguaglianza, due temi da sempre cari al suo cinema. Oltre, ovviamente, per l’irriverenza con cui irride il potere e i suoi riti malati. Come dire: l’unico modo per rendere innocui gli arroganti e i violenti è farsi beffe di loro.
Tra le scene memorabili citiamo almeno il prologo ambientato durante la prima guerra mondiale, la danza di Hynkel con il mappamondo (uno dei simbolismi più azzeccati di tutto il cinema di Chaplin, ma il film ne è pieno), l’incontro con Napaloni (alias Mussolini), il già citato discorso finale. Un discorso ambivalente e solo apparentemente consolatorio che non elude una domanda inquietante: il popolo applaude perché è d’accordo con il pacifismo di Hynkel/Charlot o perché, pecorone e pauroso, applaudirebbe a qualsiasi cosa detta dal dittatore? Memorabile l’uso che fa della parola, soprattutto quelle (immaginarie) pronunciate da Hynkel: come accadeva con Hitler, la gente si faceva ammaliare dal tono (il come) piuttosto che dal contenuto (il cosa). “Il connubio tra comico e patetico è meno riuscito che nei precedenti capolavori” (Mereghetti), ma la pellicola è ancora oggi un qualcosa che non si scorda. La versione che arrivò in Italia nel 1946 era sforbiciata, quella del 1972 venne risistemata ma senza le scene inerenti alla moglie di Napaloni (forse perché Rachele Guidi, moglie di Mussolini, era ancora in vita). Nel 2002, finalmente, fu presentata la versione integrale, che mantiene il doppiaggio di Oreste Lionello.