Psycho

(Psycho)

Regia di Gus Van Sant

con Vince Vaughn (Norman Bates), Anne Heche (Marion Crane), Julianne Moore (Lila Crane), Viggo Mortensen (Samuel Loomis), William H. Macy (Milton Arbogast), Robert Forster (dottor Fred Simon), Philip Baker Hall (Sceriffo Al Chambers), Anne Haney (Eliza Chambers), James Remar (il poliziotto), Flea (il commesso).

PAESE: USA 1998
GENERE: Thriller
DURATA: 103′

Dopo aver sottratto al suo capo una notevole somma di denaro, la bionda Marion Crane fugge dalla città e finisce a nascondersi in un motel in campagna che, però, è gestito da un maniaco con madre maniaca. Quando scompare, il fidanzato e la sorella vanno a cercarla. Scopriranno una terribile verità.

Non è un remake del celeberrimo Psyco (1960) di Alfred Hitchcock, e non è nemmeno – riportando le parole dello stesso Van Sant – un clone; è, piuttosto una (ri)messa in scena “attualizzata”: stesse inquadrature (rifatte a colori), stessi dialoghi (più coloriti), stessi personaggi (interpretati da attori diversi), ma una serie di sostanziali differenze dovute più che altro al mutamento dei costumi di questi quasi quarant’anni. Tutto è più esplicito, dalla sessualità perversa di Norman (lo vediamo masturbarsi, e i suoi modi richiamano spesso un’omosessualità repressa) alla feroce violenza degli omicidi; i corpi appaiono spesso nudi, e ciò che un tempo poteva essere soltanto suggerito viene finalmente mostrato. Un bene o un male? Difficile dirlo. Certo è che anche la tecnica è cambiata, e questo permette a Van Sant di girare scene che Hitchcock, per sua stessa ammissione, non poté fare, come lo zoom panoramico iniziale: in pratica, Van Sant riesce (in alcuni casi) a fare un film più hitchcockiano di quello dello stesso Hitchcock. Resta solo un dubbio: che senso ha? “Forse ridimensionare Psycho che non è, nonostante la sua fama, uno dei più alti risultati di Hitchcock” (Morandini); forse dimostrare che i grandi classici del cinema possono essere (ri)messi in scena all’infinito, come le piece teatrali, conservando il loro potere emozionale; forse, più semplicemente, dare sfoggio di gratuito virtuosismo. Se così fosse, sarebbe una colpa? Può darsi, ma in fin dei conti è la stessa cosa che Hitch fece con l’originale, del quale ebbe a dire: “ho creato un’emozione di massa con un film puro senza personaggi significativi né grandi interpretazioni né un messaggio interessante”. Musiche di Danny Elfman che rielabora, ammodernandola, la partitura originale di Bernard Herrmann. Pregevole anche la fotografia di Chris Doyle, che accentua i colori secondari creando un’atmosfera morbosa e quasi grottesca. Molto bravo Vaughn. Le location – compreso il Bates Motel – sono praticamente le stesse.

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