La regola del gioco

(La Règle du Jeu)

Regia di Jean Renoir

con Nora Gregor (Christine de la Cheyniest), Marcel Dalio (Robert de la Cheyniest), Paulette Dubost (Lisette), Julien Carette (Marceau), Roland Toutain (André Jurieux), Jean Renoir (Octave), Gaston Modot (Edouard Schumacher), Mila Parély (Geneviève), Odette Talazac (Madame Charlotte), Pierre Magnier (il generale), Eddy Debray (Corneille).

PAESE: Francia 1939
GENERE: Drammatico
DURATA: 110′

Il marchese Robert de la Cheyniest e la moglie Christine invitano diversi amici nella loro tenuta di campagna: tra loro ci sono il mite Octave e l’aviatore Jurieux, entrambi più o meno segretamente innamorati di Christine; c’è la cameriera Lisette, che è sposata con il guardiacaccia Schumacher ma non ci mette molto a cedere alle lusinghe del domestico Marceu; c’è la bella Geneviéve, amante del marchese che lo vorrebbe tutto per sé. Dopo una battuta di caccia, il gruppo si ritrova ad una festa notturna in cui tutti i segreti vengono a galla. Tragico epilogo, ma il “gioco” deve continuare…

Scritto da Renoir con Carl Koch, uno dei capisaldi della storia del cinema europeo. Un ritratto sconsolato della società umana all’alba della seconda guerra mondiale. Ne La grande illusione (1937) Renoir conservava una certa fascinazione per l’aristocrazia, o quantomeno per il suo senso dell’onore (memorabile il personaggio interpretato da von Streheim); qui invece lo sguardo, pur restano molto umano (nessun personaggio è davvero “cattivo”, solo molto squallido), diventa decisamente meno nostalgico, forse più cinico. Il tema è quello della menzogna nei rapporti umani, elemento che contraddistingue tutti, dai nobili alla servitù. Tutti mentono, tutti convivono serenamente con le proprie bugie. I pochi personaggi sinceri, ovvero coloro che non rispettano la “regola del gioco” (quella che impone la menzogna come stile di vita) sono destinati a soccombere come l’aviatore Jurieux, a fallire come il mite Octave, a rendersi ridicoli come il guardiacaccia tradito Schumacher. Emblematica la scena della battuta di caccia, in cui un’intera classe sociale, fatalmente avviata a un inevitabile estinzione, sfoga le proprie pulsioni violente uccidendo esseri indifesi, metafora di ciò di lì a poco accadrà durante il secondo conflitto mondiale. Anche se la scena più nota, probabilmente, è quella della rappresentazione della Danse Macabre di Saint-Saens, sinistro presagio di morte che dà il via alla seconda parte del film, quella in cui cadono le maschere e il teatrino dell’alta società – richiamato da molti degli irriverenti e modernissimi dialoghi (“basta con questa commedia!” esclama il marchese, “quale delle tante, signore?” risponde il maggiordomo Corneille) – lascia il posto alla vita vera. Che, priva dei paletti imposti fino a quel momento dalle regole sociali, precipita tragicamente fino al delitto. Tuttavia, nessuno sembra farci troppo caso: forse perché non c’è più alcuna differenza tra il teatrino e la vita. E quindi il gioco può riprendere.

La mobilissima macchina da presa di Renoir segue i personaggi utilizzando lunghi piani sequenza (celebre quello che riprende il pranzo della servitù) e sfruttando appieno le possibilità espressive offerte dalla profondità di campo: i personaggi, coordinati alla perfezione dal regista, si muovono all’interno dell’inquadratura facendo avanzare il flusso del racconto senza bisogno di stacchi. Due tecniche già viste ne La grande illusione e che rivedremo due anni dopo in Quarto Potere (1941): ecco perché l’importanza de La regola del gioco è pari, se non addirittura maggiore, a quella del capolavoro di Welles. Un plauso anche agli attori, magnifici, diretti benissimo. Alla sua uscita fu un clamoroso insuccesso, forse a causa del modo scandaloso in cui raccontava la “normalità del tradimento”, forse perché lo stile – come poteva una commedia avere un retroterra così tragico, così velatamente funereo? – confuse il pubblico che non lo capì. Nel 1966, grazie all’interessamento dei critici dei Cahiers du Cinema, il film potè tornare in sala ricevendo – questa volta – il giusto plauso di pubblico e critica. Il negativo originale andò perduto nel 1942 durante un bombardamento. Ultimo film di Renoir in Francia, che poi “fuggì” a Hollywood. Musiche di Mozart, Monsigny, Strauss, Chopin, Saint-Saens, costumi di Coco Chanel. Senza ombra di dubbio, uno dei film più importanti della storia del cinema.

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