Il padrino – Parte II

(The Godfather: Part II)

Regia di Francis Ford Coppola

con Al Pacino (Michael Corleone), Robert Duvall (Tom Hagen), Dianne Keaton (Kay Adams), Robert De Niro (Vito Corleone), John Cazale (Fredo Corleone), Talia Shire (Connie Corleone), Lee Strasberg (Hyman Roth), Michael V. Gazzo (Frank Pentangeli), G.D. Spradlin (Pat Geary), Richard Bright (Al Neri), Gastone Moschin (Don Fanucci), Tom Rosqui (Rocco Lampone), Bruno Kirby (Peter Clemenza), Frank Sivero (Genco Abbandando), Francesca De Sapio (Carmela Corleone da giovane).

PAESE: USA 1974
GENERE: Drammatico
DURATA: 202’

1958. Trasferitosi con la famiglia sul lago Tahoe, nello stato del Nevada, il padrino Michael sta attraversando un momento piuttosto difficile: da un lato deve difendersi da Hyman Roth, anziano e malandato affarista che lo vorrebbe estromettere dal giro del gioco d’azzardo, dall’altro deve cercare di mantenere unita la famiglia nonostante il tradimento del fratello Fredo e la separazione dalla moglie Kay. 1901. Il piccolo Vito Andolini, registrato Corleone per un errore del funzionario dell’immigrazione, arriva negli Stati Uniti e, nel giro di qualche anno, diventa un boss mafioso temuto e rispettato.

Dopo il grandissimo successo e i tre premi Oscar de Il padrino (1972), la Paramount commissionò a Coppola un secondo capitolo, nel quale il regista scelse di raccontare non soltanto i fatti successivi a quelli del primo film bensì anche quelli antecedenti, ovvero come Vito Andolini divenne don Vito Corleone (il personaggio interpretato da Brando). Il racconto parallelo mostra la presa del potere di un padrino e lo sgretolamento del potere di un altro, sgretolamento che coincide con quello della famiglia stessa. Con la storia di Michael si approfondisce il discorso, iniziato due anni prima, sul rapporto tra mafia e politica (“Siamo due facce della stessa ipocrisia”, dice Michael al Senatore corrotto Geary), con quella di Vito si riflette sull’ambivalenza del sogno americano: siamo davanti alla perfetta incarnazione del mito del selfmademan (l’uomo che si è fatto da solo partendo da zero), ma declinato in negativo e votato al male. Come in una tragedia greca o in un dramma shakespeariano, l’ossessivo e maniacale desiderio di potere e di controllo porta ad un’imperscrutabile solitudine: nell’uccidere tutti i nemici, Michael perde anche tutti gli amici (e i famigliari). Nella prima scena il padrino è circondato da decine, forse centinaia di personaggi; nell’ultima (ma sarebbe meglio dire “nelle ultime”, visto che c’è anche un rapido flashback degli anni quaranta con breve apparizione di James Caan, morto nel primo film) è terribilmente, malinconicamente, colpevolmente solo.

Molto interessante la parentesi cubana, in cui per la prima volta si racconta che il governo del dittatore Batista era amico degli USA tanto quanto lo era dei mafiosi. Grandi prove attoriali di De Niro, che recita interamente in italiano (prima delle riprese andò sei mesi in Sicilia per impararlo), e soprattutto di Pacino, in quello che è sicuramente uno dei ruoli più significativi della sua carriera. L’elegante regia di Coppola si plasma intorno ai suoi sguardi gelidi, alla sua camminata apparentemente incerta, ai suoi gesti decisi e sempre fortemente simbolici. Sei premi Oscar: film, regia, attore non protagonista a De Niro, sceneggiatura non originale a Coppola e Mario Puzo (autore del romanzo), scenografia a Dean Tavoularis, colonna sonora a Nino Rota e Carmine Coppola (padre del regista). Scandaloso non premiare Pacino e Gordon Willis, direttore della fotografia. Parte importante per Lee Strasberg, creatore dell’actor’s studio, e cameo per il mitico Harry Dean Stanton nei panni di un agente federale. Da vedere.

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