L’ultimo spettacolo

(The Last Picture Show)

Regia di Peter Bogdanovich

con Timothy Bottoms (Sonny Crawford), Jeff Bridges (Duane Jackson), Cybill Shepherd (Jacy Farrow), Ben Johnson (Sam), Cloris Leachman (Ruth Popper), Ellen Burstyn (Lois Farrow), Eileen Brennan (Genevieve), Clu Gulager (Abilene), Sam Bottoms (Billy), Randy Quaid (Lester Marlow).

PAESE: USA 1971
GENERE: Drammatico
DURATA: 118′

Texas, inizio anni cinquanta. Nella piccola cittadina di Anarene la vita trascorre senza sussulti. Due giovani del luogo, Sonny e Duane, si barcamenano tra studio, lavoretti e serate in compagnia. Quando il primo inizia una relazione con una quarantenne depressa e il secondo rompe con la fidanzata borghese Jacy, tutto intorno a loro sembra cambiare drasticamente. Alla fine, proprio mentre il piccolo cinema del paese si appresta a chiudere (annientato dalla televisione), Duane partirà per la Corea e Sonny resterà ad Anarene coi fantasmi di un passato che non tornerà più…

Dal romanzo di Larry McMurtry, adattato dall’autore con lo stesso Bogdanovich. Un sincero, crudo spaccato di vita in provincia che diventa un apologo sulla perdita d’innocenza della società americana, che non solo non riesce più a garantire un futuro dignitoso ai propri figli, ma addirittura comincia a mandarli a morire in una lunghissima sequenza di futili guerre della quale la Corea è soltanto l’inizio. Raccontato in cadenze talvolta divertenti e talvolta tragiche e imperniato su forti connotazioni sociali (Sonny e Duane sono due proletari, e infatti Jacy li abbandona per frequentare i figli della buona borghesia), il film veicola un malessere esistenziale che sarà uno dei temi principali del cinema della New Hollywood. I cinema e le sale biliardo dei paesini chiudono, la gente preferisce chiudersi in casa asserragliata a guardare la TV, e così i piccoli centri, privati della loro componente aggregativa, si riducono a periferie del mondo civilizzato, da cui tutti o quasi partono (fuggono?) in cerca di fortuna. O forse, semplicemente, di un’identità.

Pessimista? Può darsi, ma il film sottolinea che un miglioramento “sociale” è ancora possibile, soprattutto se si accetta di dare fiducia alle nuove generazioni: gli unici personaggi VIVI e VERI della storia sono i giovanissimi Sonny e Duane, e non a caso l’ultimo film che vedono insieme è Il fiume rosso di Howard Hawks, un western generazionale in cui il personaggio del vecchio cowboy testardo interpretato da John Wayne si accorge che l’unico modo per salvare la sua attività è affidarla al figlio adottivo interpretato da Montgomery Clift. Per la prima volta nel cinema mainstream, il tema della sessualità è trattato in maniera esplicita e senza mediazioni. Al terzo film da regista, Bogdanovich va controcorrente rinunciando al colore (raffinata fotografia in B/N del grande Robert Surtees, padre di Bruce) e adottando uno stile rigoroso che riprende le forme del cinema anni cinquanta (periodo nel quale il film è ambientato) e le rielabora secondo una poetica estremamente personale (memorabile il piano sequenza con carrellata avanti e poi indietro sul volto di Ben Johnson che racconta, senza flashback, una storia d’amore di gioventù). I due movimenti di macchina opposti che aprono e chiudono il film sono passati alla storia.

Raro caso di film senza colonna sonora over (musica d’accompagnamento extra-diegetica): se si escludono i titoli di coda, ogni volta che si sente della musica essa proviene sempre da apparecchi che fanno parte della diegesi (radio, giradischi, altoparlanti). Straordinaria prova del diciannovenne Bottoms, che con la sua corporeità prorompente ed espressiva e i suoi capelli ricci e scompigliati sembra troppo grande e complesso per stare dentro le inquadrature, come se anche visivamente Bogdanovich volesse sottolineare il suo sentirsi perennemente “fuori posto”. A interpretare il giovanissimo Billy c’è suo fratello Sam, che sarà uno dei protagonisti di Apocalypse Now (1979). Un plauso anche a Bridges e all’esordiente Shepherd, quest’ultima alle prese con un personaggio troppo programmatico nel suo simbolismo per essere davvero realistico. Ben otto nomination ai premi Oscar ma appena due statuette (Johnson, ex divo del western, e Leachman). Nostalgico senza retorica, funereo ma imbevuto di malinconica poesia, è un film potente e suggestivo che ha superato egregiamente la prova del tempo. Nel 1990 regista e attori principali gli hanno dato un seguito, Texasville, sempre tratto da un romanzo di McMurtry.

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