I fratelli Sisters

(The Sisters Brothers)

Regia di Jacques Audiard

con John C. Reilly (Eli Sisters), Joaquin Phoenix (Charie Sisters), Jake Gyllenhaal (John Morris), Riz Ahmed (Hermann Warm), Rutger Hauer (Commodoro), Rebecca Root (Mayfield), Carol Kane (Ma Sisters), Allison Tolman (prostituta), Hugo Dillon (Dottor Crane).

PAESE: USA, Francia, Spagna, Romania, Belgio 2018
GENERE: Western
DURATA: 121′

Oregon, 1851. I fratelli Eli e Charlie Sisters sono due abili pistoleri che campano eliminando i nemici di un potente uomo d’affari che si fa chiamare Commodoro. La nuova missione richiede che cerchino ed eliminino un chimico che ha sintetizzato una sostanza capace di far affiorare l’oro dall’acqua. Ma John Morris, lo scout messo sulle tracce del chimico, si allea col fuggiasco e si rende irreperibile. Riusciranno i due fratelli a mettere da parte i loro continui scontri (Eli è calmo e riflessivo, Charlie alcolizzato e irascibile) per trovare i due fuggitivi? E una volta trovati, sapranno portare a termine il loro compito?

Primo film in lingua inglese del francese Audiard, che l’ha anche sceneggiato con Thomas Bidegain dal romanzo Arrivano i Sisters (2011) di Patrick deWitt. Fortemente voluto da Reilly, anche produttore (si aggiudicò i diritti del romanzo già quando uscì), questo Sisters Brothers è un rar(issim)o western psicologico (psicanalitico?) in cui, più dei personaggi e delle loro gesta, conta il loro sentire. È un film lento e molto parlato ma senza mai un calo di ritmo: merito dei dialoghi (ottimi) e della sottile ironia che lo attraversa. Azione ridotta al minimo (sparatorie fulminee e pochissimo eroiche – una addirittura è preceduta da un copioso conato di vomito!), violenza stilizzata, spesso lasciata fuori campo, e un’andatura classica ma piena di digressioni (lo spazzolino da denti, la malattia di Eli, i suoi momenti di tenerezza con il cavallo ferito) e con un finale ottimista decisamente inaspettato, in cui la vendetta (tipico tema del western) non si consuma perché, una volta tanto, il fato agisce in maniera positiva. Il cognome dei protagonisti sottolinea un’altra componente innovativa di questo film dalle molte finezze: la fratellanza dei Sisters non ha paura di assumere contorni che la società e il cinema hanno sempre giudicato più adatti ad una sorellanza (si tagliano i capelli a vicenda, si proteggono, provano dei sentimenti anche verso i loro animali), rivoltando così cento anni di stereotipi legati al machismo dei pistoleri e degli eroi duri e puri in genere.

E che dire del rapporto di sincera amicizia che si crea tra Morris e Warm? Non divengono forse anche loro fratelli, pur non di sangue? Quartetto di personaggi scritti benissimo nel quale, un metro sugli altri due, svettano il chimico romantico di Ahmed (che sogna utopicamente una società solidale e parla del west come di un abominio contro natura) e l’assassino stanco di uccidere di Reilly (straordinario), vero asse morale della storia, lontanissimo – anche fisicamente – dai cowboy belli e dannati tipici del western (sia classico che revisionista) eppure così realistico, umano, meraviglioso. La regia elegante di Audiard si sposa benissimo con la sorprendente, lirica fotografia in digitale di Benoit Debie, che sfrutta esclusivamente le luci naturali e non teme le ombre e l’oscurità. Girato in Almeria, dove Leone filmava i suoi spaghetti western. Ottimo commento musicale di Alexandre Desplat che mescola sintetizzatori e mandolini. Raro western che mostra il mare e la città. Leone d’argento per la miglior regia. Imperdibile.

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