La classe operaia va in paradiso

Regia di Elio Petri

con Gian Maria Volonté (Ludovico “Lulù” Massa), Mariangela Melato (Lidia), Salvo Randone (Militina), Luigi Diberti (Bassi), Gino Pernice (il sindacalista), Mietta Albertini (Adalgisa), Donato Castellaneta (Marx), Adriano Amidei Migliano (il tecnico), Guerrino Crivello (Cronometrista), Ezio Marano (Cronometrista), Flavio Bucci (un collega di Lulù), Corrado Solari (Mena), Giuseppe Fortis (Valli), Luigi Uzzo (Napoli), Federico Scrobogna (Arturo).

PAESE: Italia 1971
GENERE: Grottesco
DURATA: 112’

Il milanese Ludovico Massa detto Lulù è l’operaio che tutti i padroni vorrebbero assumere: preciso e instancabile, cottimista convinto, detta i ritmi di produzione dell’intera fabbrica in cui lavora. Da solo, mantiene fidanzata con pargolo ed ex moglie con figlio. Quando un incidente gli amputa il dito di una mano, va in crisi. Snobba i sindacati, s’avvicina agli studenti rivoltosi e, dopo qualche battaglia, perde il lavoro. Rimasto solo, non potrà far altro che tornare in fabbrica, partendo però dal punto più basso della filiera produttiva…

Opera n° 3 della premiata ditta Petri-Pirro-Volonté, riunita ancora una volta dopo il grande successo (e il riconoscimento internazionale) ottenuto da Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970). Volutamente sgradevole ed eccessivo, il film è una rielaborazione post-sessantotto di Tempi moderni, del quale riprende i temi dell’alienazione, dell’impossibilità di uscire dall’ingranaggio della catena produttiva, del morire (o impazzire, come accade al Militina di Randone) di lavoro. Declinati alla visione che Petri ha della società odierna, cioè una fucina di mostri vecchi e nuovi, spesso nemmeno consci della propria abulica mostruosità. Premiato a Cannes ex aequo con Il caso Mattei (con lo stesso Volonté), il film piacque poco a destra e pochissimo a sinistra, anche e soprattutto per la figura non proprio rassicurante che vi fanno sindacati e corpi studenteschi. In realtà, col senno di poi, è difficile dare torto a Petri: ancora oggi, chi manifesta il proprio dissenso si ritrova vessato, umiliato, licenziato e, dulcis in fundo, reintegrato ma trattato come un appestato dal quale è meglio stare alla larga. Purtroppo, spesso, con la connivenza dei sindacati che preferiscono la ri-contrattazione piuttosto che la rivoluzione. Grottesco fino al fastidio, privo di sfumature, non esente da qualche lungaggine (in cui Petri lascia a briglia sciolta Volonté, come volesse tenersi buono il grande pubblico abituato ai “sordismi” della commedia all’italiana), il film non manca tuttavia di momenti riusciti e fortemente simbolici, alcune scene (come quelle in famiglia) sono davvero struggenti, e la regia è funzionale alla storia e a ciò che vuole raccontare (tantissimi i primi piani sul volto stanco e sudato di Lulù). Ottime prove di Volonté (all’apice del suo camaleontismo recitativo: pensate solo che appena un anno prima aveva interpretato il commissario corrotto di Indagine), della Melato e dell’immancabile Randone. Girato nella fabbrica Ascensori Falconi di Novara, che in quel periodo aveva interrotto la produzione. Contributi tecnici d’alta classe: fotografia di Luigi Kuveiller, montaggio di Ruggero Mastroianni, musiche di Morricone e scenografie di Dante Ferretti. Può anche darsi che, come sostiene qualcuno, il film non sia invecchiato benissimo, ma rimane comunque una tappa imprescindibile del cinema italiano impegnato.

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