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Regia di Marco Bellocchio

con Gian Maria Volonté (Giancarlo Bizanti), Fabio Garriba (Roveda), Laura Betti (Rita Zigai), Carla Tatò (la moglie di Bizanti), Jacques Herlin (Lauri), John Steiner (ingegner Montelli), Michel Bardinet (Vanzina), Jean Rougeul (direttore de Il giornale), Corrado Solari (Mario Boni), Gianni Solaro (professor Martini), Enrico Di Marco (il commissario), Silvia Kramar (Maria Grazia Martini), Massimo Patrone (il bidello).

PAESE: Italia, Francia 1972
GENERE: Drammatico
DURATA: 83′

In una Milano scossa da continui scontri politici, subito dopo il funerale di Feltrinelli (12 marzo 1972), il redattore capo di un giornale di destra si serve di un omicidio a sfondo sessuale per screditare la sinistra extraparlamentare e dirigere le elezioni verso il risultato caro alla proprietà…

Da un soggetto di Sergio Donati, ereditato da Bellocchio che si fece aiutare da Goffredo Fofi per riscrivere la sceneggiatura e trasformarlo in un film di aperta denuncia. Film urlato, arrabbiato dove serviva lucidità di sguardo, qua e là didascalico (lo sfogo di Roveda, il giornalista giovane e ancora ancorato a dei principi etici), eppure rimane uno dei più potenti affreschi sulla connivenza tra mass media, forze dell’ordine e destre, riunite per instillare la paura e pilotare le scelte dell’elettorato. Lontano dal registro grottesco di molti film coevi (ad esempio Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, con lo stesso Volonté), non sempre verosimile nell’intreccio ma assolutamente realistico negli scenari che descrive, il film non manca di pathos e sottile ironia (la lettera della bambina). Grandissima prova di Volonté, alle prese con un personaggio sgradevole conscio della propria sgradevolezza. La scena in cui si arrabbia con la moglie – l’unico momento in cui il personaggio si spoglia della fredda indifferenza del calcolatore e si lascia andare a sentimenti umani – andrebbe studiata nelle scuole di recitazione: semplicemente modificando la voce del suo personaggio (ovvero, abbandonando per pochi secondi la r moscia “intellettuale” che lo contraddistingue), ne fa simbolicamente cadere tutti i costrutti sociali e politici imposti dal mondo di cui fa parte. Altra scena notevole è quella in cui Bizanti spiega l’importanza della scelta delle parole dei titoli degli articoli, già di per sé fondamentale se si vuole pilotare il lettore ancor prima che si dedichi alla lettura. Nel prologo, costruito su riprese reali di comizi e tafferugli, appare un giovane e già esagitato Ignazio La Russa. Il giornale del film si chiama Il giornale, nome profetico perché appena due anni dopo (1974) Indro Montanelli chiamerà così il suo quotidiano. Contributi tecnici d’alta classe: musiche di Nicola Piovani, scenografie di Dante Ferretti, fotografia di Luigi Kuveiller e Erico Menczer, montaggio di Ruggero Mastroianni.

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