Todo modo

Regia di Elio Petri

con Gian Maria Volonté (Il Presidente), Marcello Mastroianni (don Gaetano), Mariangela Melato (Giacinta), Renato Salvatori (dottor Scalambri), Ciccio Ingrassia (Voltrano), Michel Piccoli (Lui), Franco Citti (l’autista del Presidente), Cesare Gelli (vicequestore Arras), Adriano Amidei Migliano (onorevole Capra Porfiri), Tino Scotti (il cuoco), Guerrino Crivello (lo speaker alla televisione).

PAESE: Italia 1976
GENERE: Grottesco
DURATA: 125’

Mentre infuria una misteriosa epidemia, i notabili di un partito filo-cattolico che mantiene il potere in Italia da trent’anni si rifugiano in un eremo prigione gestito dal dispotico don Gaetano, apparentemente per un ritiro spirituale (ispirato agli esercizi di Ignazio di Loyola), in realtà per una ripartizione del potere. Una serie di efferati omicidi mina il già precario equilibrio tra i presenti…

Quarta ed ultima collaborazione tra Petri e Volontè, la prima senza lo sceneggiatore Ugo Pirro (sostituito da Berto Pelosso), ispirata al racconto omonimo (1974) di Leonardo Sciascia. Un’inquietante ed esplicita parabola sui poteri oscuri della Democrazia Cristiana e sul potere in generale. Il finale – molto diverso da quello di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto – rivela che per Petri (e per Sciascia) il potere è diventato qualcosa di astratto e spersonalizzato, un mostro invisibile ma onnipresente che sta in piedi anche da solo e che, per mantenersi vivo, può tranquillamente fare a meno anche dei suoi emissari. Ovvero, oramai il potere esiste ed esisterà, indipendentemente dall’esistenza di chi lo ha sempre praticato. Nonostante gli intenti onorevoli e i molti pregi – scenografie post-moderne particolarmente azzeccate, clima oppressivo e malato che mette i brividi, magnifiche interpretazioni di Mastroianni (nel personaggio più sgradevole della sua carriera) e Volontè, che rifà all’80% Moro (nel modo di parlare, nell’aspetto fisico) e al 20% Andreotti (nella camminata, nel modo di gesticolare) – il film pecca di eccessiva cripticità e scarsa armonia narrativa, indeciso sul registro da seguire e sul ruolo da dare ai personaggi (davvero inutile l’apparizione di Piccoli), troppo spesso compiaciuto nella continua ricerca dello scandaloso. I passi più riusciti non sono tanto quelli coi due maschietti di testa (troppo urlati, eccessivi, spesso fini a sé stessi) ma quelli con la Melato, che in un memorabile monologo spiega con semplicità e intelligenza come il potere controlli le coscienze attraverso il concetto di peccato. Il titolo si riferisce a una frase di Sant’Ignazio, “todo modo para buscar la voluntad divina” (ogni mezzo per cercare la volontà divina). Come sempre nei film di Petri, contributi tecnici di altissima qualità: fotografia di Luigi Kuveiller, montaggio di Ruggero Mastroianni, scenografie di Dante Ferretti, musiche di Morricone. Dopo un fugace passaggio in sala (circa un mese, poi venne sequestrato) il film cadde più o meno nel dimenticatoio (anche perché quando Moro fu ucciso divenne un tabù irriderne la figura), ed è stato ricoperto soltanto negli anni novanta con la riscoperta di Volonté.

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