Il bambino con il pigiama a righe

(The boy in the striped pyjamas)

Regia di Mark Herman

con Asa Butterfield (Bruno), David Thewlis (Ralf), Vera Farmiga (Elsa), Jack Scanlon (Shmuel), Amber Beattie (Gretel), Rupert Friend (Tenente Kotler), Sheila Hancock (Nonna), Richard Johnson (Nonno), Cara Horgan (Maria), David Hayman (Pavel), Jim Norton (Herr Liszt, il tutore), Zac Matoon O’Brien (Leon), Henry Kingsmill (Karl).

PAESE: Gran Bretagna, USA 2008
GENERE: Drammatico
DURATA: 91’

Berlino, 1942. Gerarca nazista si trasferisce con la famiglia in campagna. Il figlio di otto anni, Bruno, scopre che al di là del bosco c’è una strana recinzione al cui interno si trovano alcune persone vestite con “un pigiama a righe”. Senza sapere che si tratta di un lager – per giunta gestito dal padre – Bruno fa amicizia col piccolo ebreo Shmuel, suo coetaneo: riuscirà ad intrufolarsi nel campo, ma verrà scambiato per un deportato…

Tratto dal pluripremiato, omonimo romanzo dello scrittore inglese John Boyne e sceneggiato dal regista, è un film sulla shoah anomalo e terribile. Herman sceglie di raccontare la storia con la macchina da presa “ad altezza di bambino” (Mereghetti), il che gli serve per sottolineare con dolorosa intelligenza come le beghe dei grandi (il nazismo, ma anche il razzismo) non abbiano senso di fronte all’innocenza e alla purezza dei piccoli. Che è un po’ come dire: “se qualche volta ci ricordassimo com’era essere bambini, forse le guerre smetterebbero di esistere”. È un film radicalmente pessimista, in quanto il terrificante, sconvolgente, inaspettato finale suggerisce che i bambini verranno sempre traditi dagli adulti, perché sono questi ultimi a detenere un effimero, subdolo potere. Il film emoziona, coinvolge, fa rabbia, commuove, lascia angosciati: vuol dire che è riuscito nel suo compito. In molti gli hanno criticato (come già per il romanzo) una serie di effettive inverosimiglianze: questo libro non è propriamente né una bugia né una favola, è una profanazione”. Il suo più grande rammarico è che il libro supporti l’idea che la gente comune non fosse consapevole degli orrori dello sterminio di massa che i nazisti stavano attuando sugli ebrei (Rabbino Benjamin Blech); i detrattori sottolineano anche che, nella realtà, non c’erano bambini così piccoli nei lager, in quanto chi non serviva come forza- lavoro veniva eliminato appena arrivato. Sono cose vere, certo, ma il film non perde mai un colpo e, pur nella sua improbabilità (era così facile entrare in un campo di concentramento?), lancia un messaggio forte e chiaro: ascoltiamo i bambini, perché LORO hanno la verità in tasca. E ne esce anche una bella storia d’amicizia tra “diversi”. La struttura della pellicola – che passa dalla fiaba di formazione ad un terrificante dramma storico/ simbolico – fa vincere al film la scommessa di portare su schermo una storia che facilmente poteva finire imbevuta nella retorica o nei sentimentalismi richiesti da Hollywood. Cosa che non succede, praticamente mai. Ottima fotografia (Benoît Delhomme) che, eliminando i colori accesi, sottolinea il “freddo” (morale, esistenziale, storico) in cui è intinto il racconto. Bravissimi gli attori, anche e soprattutto i piccoli Butterfield e Scanlon. Un film coraggioso ed efficace, ancor più importante se si pensa che a distribuirlo è stata la Walt Disney Pictures. Pur possedendo un finale terribile, quasi insostenibile, è un film accorato che andrebbe fatto vedere nelle scuole.

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