The Millionaire

(Slumdog Millionaire)

Regia di Danny Boyle [e Loveleen Tandan]

con Dev Patel (Jamal Malik), Madhur Mittal (Salim), Anil Kapoor (Prem Kumar), Freida Pinto (Latika), Saurabh Shukla (sergente Srinivas), Rajendranath Zutshi (regista), Jeneva Talwar (Vision Mixer), Irrfan Khan (ispettore di Polizia), Rubina Ali (Latika bambina), Ayush Manesh Khedekar (Jamal bambino), Azharuddin Ismail (Salim bambino).

PAESE: Gran Bretagna, USA 2008
GENERE: Drammatico
DURATA: 120’

Giovane indiano vince il jackpot nel chi vuol essere milionario del suo paese. I produttori del format, coadiuvati dalla polizia, lo pesta perché confessi come è riuscito a barare. In realtà non lo ha fatto: ha saputo quelle domande perché ognuna di esse era riferita ad un preciso momento della sua vita…

Tratto da un romanzo di Vikas Swarup, adattato da Simon Beaufoy e diretto da Boyle con la regista indiana Tandan, è un melodramma moderno spacciato per musical bollywoodiano che di Bollywood non ha nulla: la storia – a dirla tutta, molto improbabile – può anche essere originale, ma le risoluzioni dell’intreccio (specialmente il finale) sono troppo banali, troppo “hollywoodiane”, troppo poco sorprendenti. Boyle voleva girare un musical di formazione che proiettasse nell’India precapitalista (o, forse, già capitalista e basta) una serie di riflessioni sociali ed esistenziali di un certo livello; il punto è che la trama non aggiunge nulla che non si sia già visto, anche se le incursioni nella crudeltà dei quartieri poveri assumono un senso “politico” interessante: mentre l’India diventa una potenza a immagine e somiglianza degli USA (almeno per quanto riguarda l’economia, ma anche per quanto riguarda l’immagine dei media: non per nulla Jamal va alla versione indiana di Chi vuol’essere milionario), la maggior parte dei suoi cittadini continua a morire di fame, a subire ogni sorta di maltrattamento generato dalla povertà. Si può dunque apprezzare, almeno a livello tematico? Certo: in fin dei conti è la storia di un giovane con una vita infernale che scopre il paradiso, insomma, di “un brav’uomo che se lo merita”. Ma se si esce dall’universo filmico e si pensa ad un servizio della trasmissione Le iene che, qualche anno fa, scoprì che i piccoli attori presi dalle favelas indiane per recitare nel film non ricevettero il becco di un quattrino nonostante il film fosse andato benissimo (ha vinto 8 Oscar!), sorge qualche dubbio anche sulla sua “moralità produttiva”: viene da pensare che la sua sensibilità sia più che altro ruffianeria. Resta un film ben interpretato, specialmente dal protagonista, ben diretto e, soprattutto ben fotografato da Anthony Dod Mantle (che esalta i colori primari e tinge di un acquerello quasi poetico le sequenze nella “miseria”: come se si trattasse di un probabile sogno); ma l’impressione di un film riuscito resta piuttosto lontana. Bella la sequenza di ballo, nel finale. Grande successo di pubblico e critica.

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