La leggenda del pianista sull’oceano

(titolo americano: The Legend of 1900)

Regia di Giuseppe Tornatore

con Tim Roth (Danny Boodman T. D. Lemon Novecento), Pruitt Taylor Vince (Max Tooney), Mélanie Thierry (la ragazza), Bill Nunn (Danny Boodman), Clarence Williams III (Jelly Roll Morton), Gabriele Lavia (il contadino), Peter Vaughan (negoziante), Harry Ditson (capitano del Virginian), Vernon Nurse (maestro Fritz Hermann), Kevin McNally (senatore Wilson).

PAESE: Italia, USA 1998
GENERE: Commedia, Drammatico
DURATA: 165’

Trovato in fasce da un macchinista – che lo battezzò Novecento in onore del secolo che stava arrivando – un bambino abbandonato cresce a bordo del transatlantico Virginian. Diventa bravissimo a suonare il piano, apprezzato in prima come in terza classe, ma quando è ora di scendere dalla barca per firmare un contratto discografico, rifiuta. Molti anni dopo l’amico trombettista Max, informato dell’imminente demolizione del Virginian e convinto che Novecento sia ancora a bordo, va a cercarlo all’interno del relitto galleggiante per convincerlo a scendere…

Tratto da un monologo teatrale di Alessandro Baricco – dal titolo Novecento – e adattato dallo stesso Tornatore, è un ottimo film del più “americano” dei registi italiani. Molti critici l’hanno demolito perché troppo denso di significati e simbolismi. Può anche essere vero, ma il film riscatta col potere delle immagini l’eccessiva enfasi oratoria del monologo di Baricco. Sarebbe velleitario elencare tutti i temi che sfiora o affronta, ma – come fa notare Morandini – il film è un raro esempio di colosso intimista, capace di sondare le caratteristiche umane senza mai rinunciare all’epica, e che per questo fa di Tornatore il degno erede di Sergio Leone. La critica si è letteralmente spaccata in due: c’è chi lo considera un capolavoro e chi invece lo trova insopportabile. Noi stiamo coi primi: alzi la mano chi non si è emozionato guardandolo. Le singole scene che non si scordano sono parecchie – la “gara” di piano con Jelly Roll Morton, il lavoro della sala macchine, la suonata col piano che scivola nella sala da ballo, durante la tempesta, il rifiuto di Novecento di scendere a terra, il ritorno di Max sul Virginian pronto alla pensione – ma il film si fa apprezzare nella sua interezza per come diventa una riflessione sulla Storia, sul simbolismo intrinseco della divisione “in classi”, sul potere anti ostentativo che l’arte dovrebbe riscoprire, sullo scorrere del tempo. I grandiosi effetti speciali (made in Italy) non sono il fine, quanto un tramite per illustrare la piccolezza dell’uomo dinnanzi alla macchina, e allo stesso tempo la sua grandezza dinnanzi a ciò che è inanimato. Il tema più affascinante del film è forse quello della soggettività, del ribaltamento relativo della prospettiva: Novecento non scende dalla nave perché ha paura della città, in quanto non ne vede la fine. Qualunque viaggiatore “normale” temerebbe per lo stesso motivo il mare, ma per Novecento lo status “stabile” è l’acqua su cui è nato, non la terra che non vedrà mai. Divertente, commovente, affascinante, girato con una confezione tecnica impeccabile (grande fotografia di Lajos Koltai e virtuosa regia di Tornatore), si ingolfa solo quando guarda a Fellini e va verso l’onirico. Lungo, non prolisso, con un picco poetico non da poco proprio nel tanto atteso finale. Grande prova d’attore di Tim Roth, ma anche i comprimari hanno tutti la faccia giusta. La musica di Morricone accompagna il viaggio con sensibile umanità, e diventa eccessiva solo quando sbraca nel virtuosismo. Tornatore lo ha rieditato in una versione da 125’ per il mercato internazionale. Da vedere.

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