Una lunga domenica di passioni

(Un long dimanche de fiançailles)Una_Lunga_Domenica_Di_Passioni

Regia di Jean-Pierre Jeunet

con Audrey Tautou (Mathilde), Gaspard Ulliel (Manech), Dominique Pinon (Sylvain), Chantal Nuwirth (Bénédicte), André Dussollier (Pierre-Marie Rouvières), Marion Cotillard (Tina Lombardi), Ticky Holgado (Germain Pire), Clovis Cornillac (Benoît Notre-Dame), Jerome Kircher (Bastoche), Jodie Foster (Elodie), Jean-Pierre Becker (Esperanza), Albert Dupontel (Célestin Poux).

PAESE: Francia, USA 2004
GENERE: Drammatico, Guerra
DURATA: 134’

1920. La giovane Mathilde, ventenne orfana che vive con gli amabili zii, zoppa a causa della polio, cerca ostinatamente il fidanzatino Manech, partito per la guerra e, secondo fonti militari, condannato nel 1917 alla pena capitale per lesioni volontarie. Tutti lo danno per morto, lei no. E continua a cercare.

Dopo lo straordinario successo de Il favoloso mondo di Amélie il francese Jeunet firma questo kolossal da 45 milioni di dollari (di produzione franco statunitense) che è anche un film d’autore intimista e divertente. È una storia d’amore e guerra che sposa la tesi secondo cui il primo può guarire dalle ferite della seconda, è un piccolo gioiello antimilitarista e pacifista che mostra la “sporca guerra” senza aloni romantici o spunti eroici e con una particolare propensione per i suoi elementi più “bassi”, siano essi materiali (sangue, fango, feci) o socio-politici (disumanità, arroganza e superbia degli alti comandi); è anche, in maniera più velata, un film sulla memoria, sul bisogno di conoscere il passato per comprendere il presente: la guerra appare solo nei flashback (il passato), ma i suoi effetti e il suo bagaglio di dolore appartengono alla linea narrativa principale. Ma come film di guerra è anomalo anche perché la protagonista è una donna, e di conseguenza il fulcro della narrazione non è il conflitto (che per forza di cose è un universo esclusivamente “maschile”) bensì la di lei ricerca dell’amante perduto. Alla crudezza iperrealistica delle sequenze di guerra, ambientate nel 1917, Jeunet contrappone un 1920 onirico e favoloso, in linea col il sogno utopistico della determinata Mathilde. Il regista si conferma un artigiano alla vecchia maniera, orgogliosamente fuori moda e ancora capace di mettere al centro delle sue storie il gusto del raccontare le piccole cose, i dettagli, i particolari: usa gli effetti speciali in modo lirico e mai invasivo, concepisce inquadrature eleganti e movimenti di macchina lontani dal formalismo e vicini alla poesia, propone un ottimismo contagioso e anacronistico che trova nei bellissimi personaggi (quasi tutti positivi, quasi tutti mossi da una malinconica quanto fiera dignità) la sua forma più pura. Ironico, divertente, commovente, emozionate, pieno di citazioni – Kubrick, Milestone, Truffaut, Spielberg – ma originale nella sua affascinante struttura narrativa, è un film che parla direttamente al cuore e che, allo stesso tempo, fa pensare. Tratto dal romanzo omonimo del corso Sébastien Japrisot e adattato dal regista con Guillaume Laurant, conta una schiera di contributi tecnici ineccepibili che vanno dalla fotografia di Bruno Delbonnel al montaggio di Herve Schneid, dalle musiche di Angelo Badalamenti alle scenografie di Aline Bonetto. Prezioso anche il lavoro della costumista Madeline Fontaine. Attori di prim’ordine, in perenne gara di bravura. La trama è un po’ complicata da seguire (colpa anche della lunga durata), e non manca qualche clamoroso buco in sceneggiatura, ma è un film assolutamente da vedere.

3.5

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